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Niente funerale per Ligato
cimitero blindato per il boss

Il camorrista è morto in carcere a Milano

Vigili urbani bloccano l'accesso al cimitero
Vigili urbani bloccano l'accesso al cimitero
di Antonio Borrelli
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 10 Novembre 2022, 06:37
3 Minuti di Lettura

Il suo corpo è tornato nella città d'origine dopo decenni contraddistinti da latitanze, carcere duro e arresti domiciliari.
E ieri pomeriggio, 18 giorni dopo la morte, la salma di Raffaele Antonio Ligato è arrivata in un silenzioso e deserto cimitero comunale per l'addio dei parenti più vicini e la benedizione prima della sepoltura. La Questura di Caserta guidata da Antonino Messineo ha infatti vietato i funerali, così solo i familiari stretti - la moglie Maria Giuseppa Lubrano ed i figli Pietro, Mary, Felicetta e Raffaele - hanno potuto rendere l'ultimo saluto al congiunto. Per l'arrivo della salma da Milano il camposanto cittadino è rimasto blindato, inaccessibile ai residenti - molti arrivati per omaggiare e propri cari ieri sono stati respinti - e controllato dalle forze dell'ordine all'ingresso e lungo tutto il perimetro. Così la tumulazione si è tenuta in uno strettissimo riserbo e in una singolare atmosfera, tra solitudine e ombrosità.

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Il boss di Pignataro Maggiore, detenuto in regime di 41 bis al carcere Opera di Milano dove stava scontando due ergastoli, è morto intorno alle 6 del mattino del 22 ottobre scorso all'età di 74 anni a seguito di un arresto cardiocircolatorio nella Quinta Divisione Medicina Protetta dell'ospedale Santi Paolo e Carlo del capoluogo meneghino. Lì si trovava da alcune settimane perché affetto da un patologia dell'apparato renale.
Nato a Giugliano in Campania il 25 marzo 1948, il boss del clan Lubrano-Nuvoletta era stato condannato all'ergastolo quale mandante dell'omicidio di Raffaele Abbate, consumato il 26 gennaio del 2000 a Pignataro Maggiore, e per quello di Franco Imposimato, fratello del giudice Ferdinando, commesso l'11 ottobre 1983 a Maddaloni. E d'altronde è stato tra i più fidati killer di Vincenzo Lubrano e Lorenzo Nuvoletta.

Nell'ambito dell'inchiesta «Spartacus», il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, affiliato al clan dei casalesi, raccontò che quando nel clan dei casalesi scoppiò la guerra tra il gruppo di Bardellino e quello facente capo a Mario Iovine e Francesco Schiavone «Sandokan», Ligato si schierò con questi ultimi, venendo confermato nel ruolo di capozona. Ma la vita di Raffaele Ligato è costellata anche da fughe, occultamenti ed evasioni. Il 2 maggio 1975, a Nocelleto di Carinola, Ligato fu arrestato dopo un lungo periodo di latitanza, sorpreso mentre era nascosto insieme ai boss della ndrangheta calabrese Domenico Tripodi e Ignazio Polimeno. Prima di venire ristretto al carcere duro, era riuscito ad ottenere gli arresti domiciliari per «gravi problemi di salute». Alle udienze del processo Imposimato si presentò su una sedia a rotelle, ma dopo la condanna in primo grado all'ergastolo scappò in Germania dove fu catturato qualche anno dopo, in buona salute. Il 16 gennaio del 2004, giorno della sentenza di condanna all'ergastolo, Ligato evase.
Il gruppo criminale un tempo da lui diretto opera ancora nell'agro caleno, come hanno accertato gli inquirenti. Secondo gli ultimi rapporti della Dia, attraverso le nuove generazioni il clan Ligato ha saputo ricostituire una stabile struttura organizzativa, con suddivisione dei ruoli, allo scopo di monopolizzare il mercato delle sostanze stupefacenti a Pignataro Maggiore, Vitulazio e Sparanise.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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