Clan Casalesi, liberi killer e mandanti
tra permessi e scarcerazioni

Clan Casalesi, liberi killer e mandanti tra permessi e scarcerazioni
Marilu Mustodi Marilù Musto
Giovedì 25 Agosto 2022, 08:28 - Ultimo agg. 17:32
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In questa storia c'è un padre, Francesco Bidognetti detto Cicciotto 'e mezzanotte. Di lui dicono che passi il tempo a rimpiangere, in carcere, ciò che sarebbe potuto essere e a interrogarsi su ciò che avrebbe dovuto essere. Il 41 bis è una condanna che lui regge benissimo, in attesa che arrivi un «nuovo» Giuseppe Setola a risvegliare vecchi e nuovi conti lasciati in sospeso dal clan a Casal di Principe, Castel Volturno e dintorni.
C'è anche un figlio: Gianluca Bidognetti che sarebbe sul punto di uscire dal carcere, condannato a 17 anni dai giudici nel 2008, conta i mesi che lo separano dalla libertà. Per lui, ci sarebbe una richiesta della difesa presentata ai magistrati che spingerebbe per la concessione del permesso di tornare a casa con un provvedimento di prescarcerazione.

Ci sono, infine, degli affiliati «satelliti» e liberi che aspettano un ordine: c'è aria di irrisolto all'interno del clan dei Casalesi. Ex boss scarcerati hanno trovato paesi cambiati, ma giovani comunque capaci di entrare nel gruppo senza troppi scrupoli. D'altra parte, possono contare sull'appoggio delle vecchie guardie. Come Pasquale Apicella detto bell'ommo, libero di circolare a Casale.

Fu lui, seguendo il racconto di Raffaele Bidognetti, ad assistere all'esecuzione di Maurizio Scamperti. «Vedemmo gli affiliati stringere la fune al collo di Maurizio Scamperti - spiegò qualche mese fa il pentito Bidognetti, figlio degenere di rispettabilissimi camorristi - Luigi Diana manteneva la vittima, mio fratello Aniello cercava di tener fermo Maurizio e Salvatore Cantiello aiutava a tirare la corda». Racconti di tempi andati. All'epoca, si trovavano in un cortile anonimo di un amico del clan, dove un giorno sì e l'altro pure la donna di casa pare cucinasse pollo fritto per tutti gli affiliati. 

Libero da poco è anche Antonio Mezzero che un mese fa ha lasciato il carcere di Sulmona. Dopo 23 anni di reclusione, ha ottenuto la libertà vigilata a Grazzanise per fine pena: aveva intascato diverse condanne tra cui quelle per l'omicidio di Giovanni Parente e il duplice omicidio di Antonio Cantiello e Domenico Florio oltre a quella per associazione ed estorsione. Un cumulo di pena di 55 anni, ma ha scontato meno della metà per via del «criterio moderatore» previsto dalla legge, secondo cui la pena non può superare i trent'anni di reclusione. Liberi di circolare a San Cipriano e Casal di Principe gli ex fedelissimi di Antonio Iovine, l'ex boss ora collaboratore di giustizia: si tratta di Antonio Cerullo, alias o putecar, 58enne di San Cipriano d'Aversa; Benito Lanza, fratello di Bruno. A casa a Villa Literno, ma ai domiciliari, sarebbe tornato con tre ore di permesso Massimo Ucciero, protagonista della faida con i Bidognetti nel 2003, con strascichi di sangue degni di una guerriglia fino al 2005. Dopo 19 anni di cella era ricomparso a Villa Literno. Fu accusato di essere uno dei mandati della strage in cui morì Giuseppe Rovescio, ma nel processo accusò poi un altro ed ebbe uno sconto di pena. Di «esperienza» nel mondo della camorra ne aveva fatta già però da minorenne, «Massimone». A 17 anni rincorse a piedi Raffaele Di Fraia, custode dei Regi Lagni, facendo fuoco su di lui. Storia passata, era il 5 aprile del 1998 e ci sarebbero voluti altri due anni prima della «benedizione» dei Casalesi. E così, la strada non tardò ad allargarsi: il 29 settembre del 2003 sarebbe stato al centro dei sospetti per la strage di San Michele in cui morirono due giovani che nulla c'entravano con la camorra. Una delle vittime fu Giuseppe Rovescio, scambiato per un «nemico» perché portava il codino. 

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Intanto, ieri, la corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Luisa Guarino, 62enne di San Marcellino, coniuge di Giacomo Capoluongo. Per l'accusa, l'abitazione dei coniugi Guarino-Capoluongo costituiva il centro di raccolta e smistamento del denaro. Nella sentenza si parla anche di una conversazione di Guarino e il marito in cui manifestano timore per il possibile pentimento del camorrista Michele Zagaria. Ipotesi, per ora, improbabile. La camorra connection continua ad esistere. 

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