Quale architettura contro la camorra? L’esperienza del Laboratorio Nib-Agrorinasce alla Federico II

Quale architettura contro la camorra? L’esperienza del Laboratorio Nib-Agrorinasce alla Federico II
Venerdì 20 Ottobre 2017, 21:04
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Intervenire sui beni di mafia e camorra restituiti alla comunità significa ripensare spazi speciali, su cui occorre evitare l’effetto tabula rasa, stimolare il senso di appartenenza della comunità e favorire processi di sostenibilità ambientale ed economica. Luigi Centola, fondatore dello studio Centola & Associati e direttore del Master NIB Architettura-Ambiente e da anni attivo nella progettazione nelle terre del clan camorristico dei Casalesi, illustra progetti di rigenerazione territoriale e “architettura anticamorra” agli studenti del Corso di Laurea in Ingegneria Edile e Architettura della Federico II nel corso di una lecito tenuta oggi 20 ottobre nell’ambito del corso del Corso di Architettura e Composizione Architettonica dei docenti Francesco Viola e Chiara Barbieri.
 
Nato nel 2015 nell’ambito del Master Architettura-Ambiente, il Laboratorio “Agrorinasce-NIB” è la sintesi della cooperazione tecnico-scientifica tra la Scuola di Architettura Strategica NIB e l’Agenzia per l’innovazione, lo sviluppo e la sicurezza del territorio “Agrorinasce”, da venti anni promotore della legalità e della valorizzazione dei beni confiscati alla camorra nei comuni di San Cipriano d’Aversa, Casal di Principe, Casapesenna, S. Marcellino, S. Maria La Fossa e Villa Literno. Con un centinaio di progetti banditi e realizzati, Agrorinasce rappresenta un unicum in Italia e in Europa per il riuso di beni confiscati. La collaborazione con NIB arricchisce questa esperienza con l'incentivo alla partecipazione e il potere iconico dell’architettura.

Grazie al lavoro di oltre cento giovani architetti, paesaggisti e ingegneri del Master NIB sono stati progettati per Agrorinasce il riuso di una decina di beni confiscati ai clan camorristici, mettendoli a disposizione delle comunità.
 
«Sulla base di questa esperienza – continua Luigi Centola – si può senz’altro dire che la progettazione per il riuso dei beni confiscati ha delle sue specificità. Tre sembrano le strategie basilari che non possono mancare in ogni tipo di progetto per i beni confiscati, da progettare ex novo o da recuperare. Primo: programmi funzionali autosostenibili in grado di creare poli stabili di incontro, aggregazione, cultura, lavoro e reddito per le associazioni che gestiranno i beni. Sono inoltre fondamentali progetti-manifesto emozionali, con materiali utili per innescare un profondo senso di comunità, appartenenza, interattività e partecipazione al riscatto del territorio e alla vita delle opere. Va infine evitata un’architettura della tabula rasa provando a sovrascrivere l’immagine e gli spazi esistenti, esterni e interni, senza tuttavia cancellare, la storia, la testimonianza e la memoria di persone e luoghi».  
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