Riciclaggio di denaro in autosaloni
nel Cassinate, condannato Schiavone jr

Riciclaggio di denaro in autosaloni nel Cassinate, condannato Schiavone jr
Riciclaggio di denaro in autosaloni nel Cassinate, condannato Schiavone jr
di Angela Nicoletti
Sabato 14 Novembre 2020, 16:34 - Ultimo agg. 21:17
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Intestazione fittizia di beni: per questo reato il tribunale di Cassino ha condannato a tre anni di reclusione Nicola Schiavone, figlio del boss Francesco detto Sandokan, oggi collaboratore di giustizia. A vergare la sentenza sono stati i giudici del collegio penale presieduto da Alessandro Cananzi. Nel dispositivo, però, oltre che all’interdizione di Nicola Schiavone dai pubblici uffici per cinque anni, viene anche richiesta la confisca di beni mobili, immobili e quote societarie «relative alla Zt Auto srl intestati a Luigi Zonfrilli. Ovvero beni, titoli o altre utilità delle quali il condannato ha la disponibilità, anche per interposta persona, fino alla concorrenza della somma di 200 mila euro».

La condanna di Nicola Schiavone è l’atto conclusivo dell’indagine «Giada» che nel 2015 portò all’arresto dello stesso rampollo più volte ‘intercettato’ dalle forze dell’ordine tra Cassino, Castrocielo, Pontecorvo e Frosinone. L’indagine della Guardia di Finanza del Gruppo di Cassino ha visto assolvere, in primo grado, dai giudici del tribunale di Cassino, quasi tutti gli imputati. La posizione di Nicola Schiavone è stata stralciata.

L’inchiesta prese il via quando il giovane capo famiglia, succeduto al padre dopo il suo arresto, venne fermato dalla Guardia di Finanza mentre viaggiava a bordo di una fiammante Testa Rossa comprata a Pontecorvo. Un fatto che destò il sospetto degli investigatori che decisero di approfondire, ogni singolo dettaglio raccolto con grande discrezione, inerente quella strano e costoso acquisto di Nicola Schiavone. Quattro anni di investigazioni silenti che hanno portato le fiamme gialle del frusinate a scoprire un presunto giro di riciclaggio. In quattro, compreso Nicola Schiavone, si videro notificare un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Uno tsunami giudiziario. A sospettare la presenza di un’attività di riciclaggio nel Cassinate fu l’allora magistrato Dda Giovanni Conzo. Un gruppo di imprenditori per evitare la rovina finanziaria dopo un momento di crisi, avrebbe accettato danaro di provenienza illecita dal clan dei Casalesi e da Nicola Schiavone.

Nell’inchiesta finirono coinvolte anche persone residenti a Roccasecca, Castrocielo, San Giorgio a Liri, Villa Santa Lucia, Scampia, Monte San Giovanni Campano e Cellole in provincia di Caserta.
 

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