«Riorganizzavano il clan» parenti del boss a giudizio

Tre figli, sorelle e generi del boss fra i 39 imputati a processo

Il tribunale di Aversa
Il tribunale di Aversa
di Biagio Salvati
Sabato 1 Aprile 2023, 07:36
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Si aprirà il prossimo 8 giugno, davanti ai giudici della prima sezione del tribunale di Napoli Nord ad Aversa, il processo a carico di 39 persone ritenute vicine a quello che fu il clan Bidognetti, anzi accusati proprio di riorganizzare le fila della cosca grazie alla presenza di figli e generi dell'ex capo dei Casalesi «Cicciotto e Mezzanotte».

Il rinvio a giudizio è stato disposto dal gip del Tribunale di Napoli Isabella Iaselli, su richiesta della Procura antimafia che ha chiesto il giudizio immediato: titolari dell'inchiesta sono i sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Maurizio Giordano, Graziella Arlomede, Fabrizio Vanorio e Vincenzo Ranieri.
Tra gli altri, dunque, sotto processo agli inizi di giugno andranno anche i tre figli di "Cicciotto", ovvero l'ultimogenito Gianluca, le sorelle Teresa e Katia, ma anche i mariti di queste ultime Vincenzo D'Angelo e Carlo D'Angiolella, Emiliana e Francesca Carrino, rispettivamente zia e cugina dei figli del boss (Emiliana è la sorella di Anna, attualmente collaboratore di giustizia nonché ex compagna del boss e madre di Gianluca, Katia e Teresa), e storici affiliati ai Bidognetti come Giosuè Fioretto, marito di Emiliana, e Nicola Kader Sergio, moglie di Francesca e ritenuto capozona a Castel Volturno per conto del clan.

Tra le accuse, oltre a quella di aver riorganizzato le attività del clan soprattutto attorno a Gianluca, nonostante questi fosse in carcere dal 2008 per il tentato omicidio della zia e della cugina Francesca, si sarebbero interessati di riprendere anche le estorsioni ai danni di numerosi operatori commerciali (un imprenditore è stato ferito alle gambe da colpi d'arma da fuoco), il controllo del settore delle onoranze funebri grazie ad accordi risalenti agli anni Ottanta con aziende operanti sul territorio, il traffico di sostanze stupefacenti.

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Secondo gli inquirenti, ad attuare le direttive di Gianluca Bidognetti fuori dal carcere sarebbero state le sorelle Katia e Teresa, le quali avrebbero percepito lo stipendio del clan, assieme ai mariti di queste ultime, in particolare quello di Teresa, Vincenzo D'Angelo.
Gli altri imputati sono Salvatore Gabriele, Sergio Nicola Garofalo, Antonio Lanza, Giacomo D'Aniello, Angelo Zaccariello, Giovanni Stabile, Antonio Stabile, Giuseppe Spada, Federico Barrino, Vincenzo Simonelli, Francesco Cerullo, Ernesto Corvino, Giovanni Corvino, Annalisa Carrano, Francesca Carrino, Agostino Fabozzo, Marco Alfiero, Onorato Falco, Pietro Falco, Giovanni della Corte, Clemente Tesone, Franco Bianco, Salvatore De Falco, Vincenzo di Caterino, Giuseppe Di Tella, Giuseppe Granata, Biagio Francescone, Felice di Lorenzo, Francesco Sagliano, Francesco Barbato e Luigi Mandato.

Nel processo sono costituite 25 parti civili tra cui l'associazione Caponnetto. Sotto processo è andato anche il marito di Teresa Bidognetti, Vincenzo, detto «Biscottino», che chiese di collaborare con la giustizia appena due settimane dopo l'arresto. D'Angelo aveva il ruolo di messaggero tra famiglia e carcere dopo i colloqui con il boss. A seguirlo nella sua decisione, anche la moglie Teresa che ha intrapreso il percorso.
A saltare il fosso, in passato, è stato anche un altro figlio di Bidognetti, Raffaele così come il cugino Domenico detto «Bruttaccione» (Setola gli uccise il padre Umberto per ritorsione) e prima ancora Anna Carrino, compagna del boss, la cui scelta provocò un'altra vendetta trasversale, ovvero il tentato omicidio della nipote della donna. La decisione di collaborare con la giustizia da parte del genero di Bidognetti, maturò in maniera piuttosto rapida. Appena dopo il blitz del novembre dello scorso anno.
Sembra che, già qualche giorno dopo gli interrogatori (davanti al gip si avvalse della facoltà di non rispondere), avrebbe prospettato alla Direzione distrettuale antimafia di voler vuotare il sacco: ora stanno per concludersi i 6 mesi di tempo durante i quali dovrà riferire fatti e circostanze sulle attività camorristiche di cui è a conoscenza e che, ovviamente, dovranno avere i dovuti riscontri da parte degli inquirenti.
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