Satira solidale, «Lercio» for Africa
L’avventura di Davide in Etiopia

Davide Paolino di Lercio in Etiopia
Davide Paolino di Lercio in Etiopia
di Tiziana Di Monaco
Mercoledì 13 Febbraio 2019, 17:21
4 Minuti di Lettura
C’è del «Lercio» in Etiopia. Ma sa di buono. Ha la faccia di Davide Paolino, 32 anni, un metro e novantasei di ironia, condizione essenziale per far parte della squadra di «Lercio. Lo sporco che fa notizia», sito che diffonde «news satire» scritte così bene che molti le scambiano per notizie vere. Del resto per lui è facile trovare l’ispirazione, perché è il proprietario di un’edicola a San Prisco: «Mi basta sfogliare i giornali la mattina. Anche se è dura competere con certi titoli». Per una settimana, dal 17 al 23 novembre dell’anno scorso, Davide - assieme al collega sardo Gianni Zoccheddu - è stato in Africa, nel Sud dell’Etiopia, nei villaggi più lontani dai centri urbani, per testimoniare l’operato svolto da Amref. Qui la Ong è impegnata in un progetto, con il coinvolgimento delle comunità e dei giovani, per ridurre la povertà in regioni senza acqua potabile e insicure. Il dialogo interreligioso ha consentito campagne sulla salute sessuale; il family planning mira, tra l’altro, a valorizzare la donna in un contesto dove le è riconosciuto un ruolo marginale. A «Lercio» il compito di ideare la nuova campagna Amref, i cui testimonial più noti sono Pif e Giobbe Covatta (chi non ricorda il claim: «Basta poco, che ce vo?»). 
Ad agosto dell’anno scorso, arriva una telefonata. 
«Ero a godermi il caldo asfissiante nella mia edicola. Pensavo a un invito in birreria, una partita a calcetto o a insulti per una vittoria rubata al fantacalcio. Invece una domanda secca: “Davide, vuoi andare in Africa?”. Risposi di sì, poi di no. Presi tempo».
Quindi la decisione di partire.
«Dopo aver provveduto alle vaccinazioni e sottoscritto un testamento olografo con il quale – in caso di prematura dipartita – avrei lasciato la mia collezione di fumetti a mio fratello, mi sono lanciato in quest’avventura. Ho sempre avuto timore dell’ignoto, dei cambiamenti. Ed è quello che spaventa un po’ tutti ultimamente. È palpabile dagli slogan di partito basati sulla caccia al diverso, che alimentano la paura e rovinano la vita di tutti. L’unico modo per combattere questo disagio è informarsi, spostarsi, viverle dentro le situazioni che non si conoscono. E forse così il castello di paura crolla. È quello che è successo a me».
Che cosa è accaduto in Etiopia?
«Ho osservato, ascoltato, elaborato pensieri e ipotesi. Ho cercato di comprendere i progetti che Amref porta avanti da anni in Africa. Ho incontrato Jim, un ragazzo che era in cura in un Health center, un centro medico costruito e gestito da Amref nel distretto di Wolayta Soddo, in mezzo al nulla. Nulla per chilometri di strada sterrata, e lì fuori il pienone di persone che attendevano il turno per farsi curare, senza lamentarsi, senza urlare, rispettando la fila. Proprio come succede dalle nostre parti». 
E poi?
«Ricordo la forza d’animo di una donna violentata da quello che le era stato poi imposto come marito; il matrimonio era stato combinato dalle famiglie. Raccontava la sua storia a gruppi di ragazze nei villaggi sperduti del Sud dove Amref spiega la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale, la pianificazione delle nascite, l’importanza della contraccezione. Ricordo i bambini che non avevano paura del gigante goffo che sono, e che giocavano con me. Ricordo l’alba ad Arba Minch, quando il sole saliva sui due laghi e sulle montagne, uno spettacolo lontano mille anni luce dalle foto su Instagram, stampato nei miei occhi. Ricordo le scimmie che rubavano la colazione con assoluta nonchalance, le capre che sono le vere padrone della strada e una delle più importanti fonti di reddito delle popolazioni locali. Ricordo le lacrime di commozione dei vincitori, nelle gare tra studenti, perché ricevevano libri in premio. Ricordo l’appetitoso enjera, metafora sublime di collaborazione e cooperazione, visto che va mangiato tutti insieme dallo stesso piatto. Ricordo il cielo. Le stelle, che luccicavano come se le avessero appena installate».
Della frase «aiutiamoli a casa loro» che cosa ne pensi?
«È un’esplosione di solidarietà: sottintende che una persona qualsiasi possa mettere da parte problemi, malesseri, preoccupazioni e donarsi completamente a un altro essere umano che non vive nel suo Paese. Amref lo fa. “Aiutiamoli a casa loro”: ma mica vorrebbero andarsene da casa loro. I padri mica vorrebbero lasciare le proprie famiglie. Noi facciamo fatica ad abbandonare la casa di mammà, ma perché per loro dovrebbe essere differente? Forse si mette in conto anche l’elevato rischio di morire nel Mediterraneo pur di vivere un’esistenza migliore. Forse perché sarebbe giusto che i bambini, invece di contribuire a portare soldi a casa lavorando, potessero studiare e giocare. O perché le ragazze, invece di sposarsi a tredici anni per togliere una bocca in più da sfamare alla famiglia, potessero godersi la propria adolescenza. E i ragazzi avere la possibilità di inseguire i propri sogni. Io ad andare sono andato. A tornare non lo so: il pensiero, il cuore, è sempre lì che tornano. Una cosa è certa: mi hanno aiutato a casa loro. È sicuro che ritornerò».
E l’edicola?
«L’ho messa in vendita, non per tornare in Africa, ma per poter raggiungere la donna della mia vita. Una scelta d’amore. E con amore “Lercio” sta pensando alla campagna per Amref: originale, ironica, di profondo rispetto per la popolazione etiope, con un protagonista fuori dal comune».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA