Non sono italiani, niente basket per il Tam Tam

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di Vincenzo Ammaliato
Giovedì 28 Settembre 2017, 08:23
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CASERTA - Quando lo scorso anno coach Antonelli presentò ai media la sua squadra di Basket formata da scugnizzi della Domiziana dalla pelle nera, raccolse consensi unanimi e l’Italia intera sembrò apprezzare il progetto denominato Tam Tam Basket, che prevede la leva gratuita per tutti i figli degli immigrati di Castel Volturno che desiderano praticare sport. Dopo un anno d’intenso allenamento sul playground del Parco Saraceno, per i giovani cestisti della città alla foce del fiume Volturno arriva, però, la doccia fredda. Coach Antonelli, infatti, ha scoperto che i suoi atleti non potranno iscriversi ai campionati agonistici che partiranno tra qualche settimana, perché, seppure siano nati e si stiano formando in Italia, per la legge i suoi ragazzi non sono italiani. 

Il regolamento nazionale federale della pallacanestro è chiaro e prevede che per ogni squadra ci possano essere non più di due atleti stranieri. E siccome per l’ordinamento italiano i ragazzi della Tam Tam Basket, adolescenti cresciuti a mangiare pizza e a guardare le partite del calcio Napoli come tutti i loro coetanei figli d’italiani, sono stranieri dovranno per questo restare fuori dalle pratiche sportive, almeno da quelle agonistiche. Ma Massimo Antonelli, allenatore con trascorsi nella nazionale di basket, non ci sta e scrive al presidente del Coni Giovanni Malagò. Perché seppure i suoi ragazzi ci stanno mettendo tanta passione negli allenamenti, è molto probabile che senza la possibilità di effettuare campionati, perderanno l’entusiasmo e in breve tempo molleranno. Questo sarebbe un oggettivo fallimento non solo per lo sport, ma anche e soprattutto per la cosiddetta società civile. La Tam Tam Basket, infatti, con la sua leva gratuita, è riuscita finalmente a dare un’opportunità a un gruppo di ragazzi che si sente troppo spesso ai margini. Antonelli e i suoi collaboratori, senza alcun ritorno economico, hanno fatto in modo che giovani che solitamente sono abbandonati a se stessi, formassero un gruppo e si sentissero parte di un progetto non solo sportivo, ma anche sociale. Negando lo sport ai ragazzi di Castel Volturno figli d’immigrati significa barattare paure collettive con speranze e aspettative di giovani che hanno il solo desiderio di poter essere come tutti gli altri.
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