Traffico di rifiuti e impianti bruciati,
in manette imprenditori casertani

Traffico di rifiuti e impianti bruciati, in manette imprenditori casertani
di Mary Liguori
Giovedì 28 Febbraio 2019, 08:00 - Ultimo agg. 09:59
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Ci sono strane analogie tra quanto è accaduto in Campania tra l’estate e l’autunno scorsi e quanto avvenuto in Lombardia nello stesso periodo del 2018. Fuoco, rifiuti, impianti autorizzati. Negli stessi mesi in cui a Santa Maria Capua Vetere, Marcianise, Caivano, Casalduni andavano a fuoco impianti stir, siti di stoccaggio e quindi strutture autorizzate per la ricezione della spazzatura, a Milano un rogo distruggeva un sito di raccolta ecoballe incenerendo tonnellate di spazzatura in una sola notte. Era il 14 ottobre e la Dda del capoluogo lombardo avviò immediate indagini che da ieri possono essere definite addirittura lampo. A meno di quattro mesi dal rogo, ieri mattina, sono arrivati quindici arresti che alzano il velo su un inquietante traffico di rifiuti che, dalla Campania, e in particolare da Napoli e Salerno, sarebbe arrivato in Lombardia. Quindici, come detto, le persone colpite dalla misura cautelare: otto sono finite in carcere, quattro agli arresti domiciliari e tre all’obbligo di dimora nel comune di residenza. Il blitz è stato eseguito dalle squadre mobili di Milano e Caserta, dirette rispettivamente da Lorenzo Bucossi e Filippo Portoghese. Tra i principali indagati dell’inchiesta «Venenum» ci sono gli imprenditori di Maddaloni Pietro e Luciano Ventrone. Pietro Ventrone, 34 anni, è finito in carcere, mentre per suo fratello Luciano, 36 anni, il gip Giuseppina Barbara ha disposto i domiciliari. I due fratelli sono amministratore legale e di fatto di importanti aziende di trasporto, la Gea Log srl e la Waste Solution srl. Secondo il giudice erano «consapevoli» di depositare i rifiuti presso siti non autorizzati. Lo si evince, scrive il gip «dalle intercettazioni dei dialoghi dopo il sequestro di un camion della società casertana. 

Il sistema messo in piedi dagli indagati per mercificare sui rifiuti e danneggiare l’ambiente senza alcuno scrupolo rispecchia il principio della banalità del male. Era semplice e redditizio. Si servivano di capannoni collocati in diverse località lombarde per stoccare la spazzatura raccolta in Campania. Intascavano il denaro, come se la avessero poi dovuta smaltire lecitamente, invece bruciavano tutto. Proprio per questo «il guadagno era netto». Lo ha detto il capo della Dda di Milano, Alessandra Dolci. Per le 37mila tonnellate il cui percorso è stato ricostruito dalla Dda di Milano si parla di un giro di soldi milionario. Un giro nel quale, a leggere le 82 pagine del dispositivo spiccato dal gip del tribunale ambrosiano, i due fratelli di Maddaloni si erano inseriti grazie all’accordo con il personaggio ritenuto al centro dell’intero business, ovvero Aldo Bosina, amministratore della Ipb Italia srl che è indagato anche per calunnia perché «pur sapendolo innocente, cercò di far ricadere la colpa della gestione illecita di rifiuti su un dipendente straniero della società». Ma è lui che spiega alla segretaria, mentre è intercettato, come sbarazzarsi del computer contenente dati compromettenti buttandolo in un bosco, dove poi fu trovato dalla polizia. In un’altra registrazione, uno degli indagati, pochi giorni prima del rogo del sito di via Chiasserini, risponde a una persona che gli domanda come procedono le operazioni di smaltimento: «Va tutto bene, faremo il botto». E il 14 ottobre, pochi giorno dopo, l’impianto di via Chiasserini a Milano andò a fuoco con tutti i rifiuti che vi erano stoccati. Secondo il gip il rogo ebbe una regia. Come, presumibilmente, la ebbero gli incendi che hanno devastato i siti della provincia di Caserta, Napoli e Benevento tra luglio e novembre del 2018. 
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