Utilizzo di beni confiscati alla camorra: l'Europa boccia i progetti del Comune

Tre edifici nel cuore della città della Reggia resteranno a collezionare solo polvere

Una delle strutture
Una delle strutture
Marilu Mustodi Marilù Musto
Mercoledì 4 Gennaio 2023, 08:35 - Ultimo agg. 22:06
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Tre progetti presentati, tutti bocciati. Diventano polvere e fumo i propositi di riutilizzare i beni confiscati alla camorra a Caserta. Tre edifici nel cuore della città della Reggia resteranno a collezionare solo erba incolta. E qualche rimpianto.

I piani di riutilizzo sociale di strutture tolte ai clan annunciati in pompa magna nel marzo del 2022 dall'amministrazione comunale targata Carlo Marino, approvati dalla giunta su proposta dell'assessora Emilianna Credentino, ora scivolano nel dimenticatoio. La causa è semplice: gli uffici comunali di Caserta non sono stati solerti nel produrre le indicazioni richieste dal soccorso istruttorio del Ministero. Si ferma qui la corsa ai finanziamenti, in perenne bilico sul precipizio. Troppo lenti, troppo poco attenti i dirigenti tecnici, sembrerebbe, chiamati a sbrigare le questioni burocratiche. In pratica, non hanno risposto in tempo a due integrazioni richieste dalla Comunità europea che puntava al recupero e alla valorizzazione di beni confiscati alla criminalità a Caserta con i finanziamenti Next Generation. «C'è, di certo, una grave responsabilità degli uffici comunali che non hanno adempiuto all'istanza di integrazione, ma anche l'indirizzo politico della giunta si è bloccato, bisognava vigilare», spiega Raffaele Giovine, consigliere di opposizione. Lo sa bene Giovine perché tocca con mano ogni giorno le potenzialità del riutilizzo dei ville e campi tolti alle mafie. Lavora, infatti, in una cooperativa sociale a Pignataro Maggiore.


Ma cosa voleva farci il Comune di Caserta nelle strutture confiscate? Il primo progetto si chiamava «Globalhomecare verso l'autonomia» ed era destinato a persone con disturbo dello spettro autistico con diversi profili di autosufficienza.

L'immobile scelto era appartenuto a Pasquale Pirolo, ex braccio destro del boss Antonio Bardellino del clan dei Casalesi. Si trattava di una enorme villa immersa nel verde in via Francesco II di Borbone, località Vaccheria. Sarebbe servito un milione di euro per renderla agibile ed eco-sostenibile. Un sogno, rimasto tale.


In un altro immobile nel centro cittadino l'amministrazione comunale puntava invece a realizzare un centro antiviolenza per le donne e minori vittime di maltrattamenti o casa rifugio a indirizzo segreto, con una richiesta di finanziamento di 447.578,11 euro. In piazza Aldo Moro, infine, un Centro per la famiglia. «Non siamo nemmeno in graduatoria, i tre progetti sono stati dichiarati inammissibili», spiega il consigliere comunale Massimiliano Palmiero. «Il problema è la trascrizione dei beni al comune di Caserta come proprietà, l'atto non è stato mai fatto». Sì, perché mancava un documento notarile che certificasse il passaggio dall'Agenzia dei beni confiscati al Comune di Caserta degli edifici. Un gap colmabile se ci fosse stata attenzione, perseveranza, velocità. «In due mesi non siamo riusciti a fare questa trascrizione, piegati fra le lungaggini degli uffici del Comune e la conservatoria - continua il consigliere Palmiero - ma possiamo riproporre i tre progetti perché fra poco dovrebbe arrivare la trascrizione». La pensa diversamente Giovine: «È una perdita gravissima - spiega - sarebbe bastato anticipare i tempi, si conosceva il problema della trascrizione». Il Comune ha perso la possibilità di un riscatto e di rinascita anche simbolica dal dominio della camorra. Sull'orlo del precipizio ci sono le speranze di assessori e consiglieri che avevano sperato in epilogo migliore. E di chi ci aveva creduto.

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