Zagaria libero per il no di un medico:
verifiche su contatti carcere-ospedale

Zagaria libero per il no di un medico: verifiche su contatti carcere-ospedale
di Mary Liguori
Venerdì 8 Maggio 2020, 08:30 - Ultimo agg. 08:54
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Sul caso Zagaria è quasi inciampato il ministro, un capitombolo mediatico parato solo con il cambio della guardia al Dap, che però non ha evitato a Bonafede le corde del question time, dove si è visto addirittura tenuto a promettere un decreto blocca-boss in cella. Una diga nel mare in tempesta in un bicchier d’acqua, scatenato dai domiciliari a tempo concessi al fratello minore del capo dei capi dei Casalesi, sopraggiunta con un anno di anticipo rispetto al fine pena e concessi per soli cinque mesi. Un caso che sta avendo ripercussioni anche sulla sanità sarda. Ché, nella stesura delle otto pagine che mandano Pasquale Zagaria a curarsi ai domiciliari, in provincia di Brescia, per un tumore, i giudici della sorveglianza ripercorrono il carteggio avuto con l’amministrazione penitenziaria del carcere di Bancali, Sassari, e con l’ospedale di Cagliari. Ed è all’azienda ospedaliera del capoluogo, il Brotzu, che si sono inaspettatamente decise le sorti del camorrista. E si sono decise con una telefonata durante la quale un dirigente medico, scrivono i giudici di sorveglianza, ha negato al detenuto la possibilità di curarsi al Brotzu. A che titolo lo abbia fatto, quel dirigente, al momento non è dato sapere. E lo vuol sapere, a ragion veduta, la direzione dell’azienda ospedaliera cagliaritana che sul caso ha avviato verifiche interne. Ché, oltretutto, per Zagaria era possibile, il 23 aprile, ottenere il ricovero e le cure in sicurezza in quell’ospedale, dal momento che non c’erano particolari criticità dovute all’emergenza coronavirus e, come se non bastasse, gli avvocati del camorrista avevano chiesto - lo scrivono i giudici - le cure, anche in carcere, per il sessantenne, e non la scarcerazione che è stata la conseguenza dell’impossibilità di somministrargli, nel penitenziario in cui era detenuto al 41bis o in un altro, le «indifferibili» terapie. La scarcerazione, ormai è chiaro, è stata disposta solo in seguito alle mancate risposte del Dap e, soprattutto, al diniego da parte del medico del Brotzu al ricovero di Zagaria. Adesso l’azienda ospedaliera, che dovrà di certo riferire al ministero, si ritrova a ricostruire una vicenda senza un supporto documentale. In pratica se il contatto tra il carcere e l’ospedale c’è stato, non è avvenuto attraverso canali ufficiali e, quindi, non ci sono atti del rifiuto. In pratica, «ufficialmente» l’ospedale di Cagliari non ha mai respinto il ricovero di Zagaria.

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Ma andiamo al dispositivo. Scrivono i giudici in merito alla richiesta di individuare un istituto in cui sottoporre il detenuto a cure che nell'ospedale di Sassari, focolaio di contagio, non erano possibili: «Dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non è giunta risposta alcuna, mentre il responsabile sanitario della Casa Circondariale di Sassari ha fatto pervenire ulteriore certificato del 23 aprile 2020 nel quale specifica quanto segue: Il paziente non può effettuare i controlli endoscopici previsti (necessari per poter proseguire la terapia) né presso l’Aou di Sassari né all’interno della Cc di Sassari (si eseguono solo in ambito ospedaliero). Contattato personalmente il dottor Ayyoub Mohammed, dirigente medico del Reparto di Urologia dell’Azienda Ospedaliera Brotzu (Cagliari) per chiedere la disponibilità a prendere in carico il paziente, mi è stato risposto che al momento possono garantire l’assistenza esclusivamente ai loro pazienti. Per il trattamento all’interno della Cc di Uta vale lo stesso discorso fatto per Sassari. Inoltre, si conferma la indifferibilità del programma diagnostico-terapeutico previsto». Passaggi, questi, ripercorsi nei giorni scorsi anche dall’Unione Sarda e che ormai sono agli atti dell’approfondimento che il ministero della giustizia conduce su questa e altre scarcerazioni eccellenti avvenute in Italia dall’inizio della pandemia. Eppure è stata la circolare del 21 marzo scorso che la Direzione generale detenuti e trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, organismo in seno allo stesso ministero, a invitare le direzioni a comunicare con solerzia all’autorità giudiziaria il nominativo di detenuti in condizioni di salute tali da renderli più vulnerabili al covid19. Condizioni in cui si trova Zagaria, valuta il tribunale di Sorveglianza di Sassari sulla base della documentazione medica pervenuta all’atto dell’istanza visto che, scrivono ancora i magistrati, «oltre a trovarsi di fronte all’impossibilità di ricevere le indifferibili cure per la sua patologia, si trova anche esposto al rischio di contrarre la patologia Sars-Cov-2 in forme gravi. Benché il detenuto sia sottoposto a regime differenziato e in cella singola», è comunque «esposto al contagio in tutti i casi di contatto con personale della polizia penitenziaria e degli staff civili e - concludono - la tutela del diritto alla salute del detenuto deve essere declinato anche in termini di prevenzione». 
 


Va aggiunto che, nel motivare il differimento, il tribunale di sorveglianza di Sassari cita anche la Corte di Appello di Napoli che, il 22 gennaio del 2015, scrisse: «L’appartenenza dello Zagaria alla associazione camorristica, attuale all’epoca del decreto emesso nell’anno 2004, fosse tale anche nell’anno 2011, atteso che il prolungato periodo di detenzione, posto in correlazione con la circostanza che il detenuto si costituì spontaneamente in carcere e, nel corso del processo penale, rese confessione in ordine a gran parte dei reati contestati, condotta che rappresenta un inequivocabile sintomo di iniziale ravvedimento, inducono a escludere la concreta operatività della presunzione di perdurante al momento della formulazione del giudizio».
Per i magistrati sardi le conclusioni della Corte d’Appello di Napoli sono «rassicuranti e - si legge ancora nel dispositivo - ill detenuto ha mostrato interesse esclusivamente per soluzioni di cura, anche in altri istituti penitenziari, e non univocamente per soluzioni extramurarie». Ma, come ormai è noto, una leggerezza, quella di un medico, e una mancata risposta, quella del Dap, ne hanno consentito la scarcerazione seguita da uno strascico di polemiche che tutt’oggi continuano ad avere ripercussioni. 

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