«Domenico Morelli. Immaginare cose non viste» in mostra a Roma

L'allestimento perfetto, coerente e sobrio a cura di Chiara Stefani

Il Cristo nel deserto di Domenico Morelli
Il Cristo nel deserto di Domenico Morelli
di Riccardo Lattuada
Martedì 22 Novembre 2022, 08:00 - Ultimo agg. 23 Novembre, 15:00
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La Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma inaugura oggi la mostra «Domenico Morelli. Immaginare cose non viste», a cura di Chiara Stefani, con Luisa Martorelli. Il sottotitolo è ben trovato: rievocando Morelli al momento della scomparsa, il pittore Edoardo Dalbono affermò che egli era stato «come il vero artista deve essere, cioè egli sapeva quello che non sapeva, e vedeva ciò che non aveva mai visto». La Galleria Nazionale di Roma (Gnam) è la casa ideale di Morelli. Qui furono allestite due tra le più importanti mostre sul pittore: quella del 1907, realizzata a pochi anni dalla morte (1901), e quella sui suoi disegni curata da Palma Bucarelli (1955). La mostra che ora si apre è una delle più complete rassegne su quella che fu una figura chiave dell'arte post-unitaria in Italia. Circa trenta dipinti, 9 bozzetti, 9 sculture, varie tavolette a olio con paesaggi realizzati nella costa a sud di Napoli, un grande cartone a tecnica mista e una selezione di 160 opere su carta tratte dal fondo Morelli della Gnam, che conta oltre 800 fogli.

Al campione esposto in mostra per motivare l'iter creativo che portava Morelli alle grandi composizioni vale la pena di riservare la massima attenzione: il pittore mostra una capacità quasi sovrumana di fissare in tratti fitti, estremamente essenziali e quasi da incisore, le forme di una figura o di una situazione.

Il formato di questi disegni spesso è simile a quello delle stampe fotografiche che nel secolo scorso componevano gli album di ricordi. Una piccola sezione è riservata a un gruppo di minuscole tavolette su cui Morelli annotava, con una fermezza di mano e un senso atmosferico impressionante, scorci di paesaggio e di natura, impressioni vedutistiche in cui la libertà di spaziare dell'occhio è sorretta da una maestria pittorica che ha pochi equivalenti nel panorama europeo tra Otto e Novecento. Sono, questi, solo alcuni esempi in cui si riconferma la complessità del metodo di costruzione delle immagini di Morelli, che fu capace di padroneggiare ogni tecnica artistica e sempre con esiti formali di un livello a sé stante nell'Italia del suo tempo. Per un artista tecnicamente così dotato stupisce l'acribia con cui una lunghissima serie di ripensamenti, variazioni, aggiunte e sottrazioni costituiva il percorso di avvicinamento alla redazione finale di una composizione. 

Ma poi la forza di Morelli è nella sua costante attenzione alla storia, alla letteratura, al mito, alle tradizioni religiose, tutte fonti che gli hanno fornito spunti per le sue originali, drammatiche e mai scontate traduzioni in immagine. L'immenso patrimonio della Gnam ha permesso di creare un contesto alle opere di Morelli in grado di aprire un vasto panorama sulla koinè in cui egli crebbe, e con cui interagì: lo evidenziano le sculture in vari media di Balzico, Cecioni, Focardi, Ginotti, D'Orsi, Gemito, Trentacoste, Renda, Rutelli; e a dispetto delle differenze anche grandi tra i singoli percorsi creativi, ciò vale per i dipinti in mostra di Toma, Dalbono, Talarico, Previati, Vetri e Michetti. In mostra sono opere poco o mai viste dal grande pubblico: «La leggenda delle sirene» di Dalbono viene esposta per la prima volta a fianco di una replica in collezione privata in cui il pittore sperimenta sulla stessa scena la variante di una scelta atmosferica non più basata su una lattea luce meridiana, bensì ambientata in un'ora di vespro infuocato.

Per la prima volta dall'inizio del secolo scorso è in mostra «Il trovatore tra le monache», incompiuto, già ricercato dal mercante francese Jean-Baptiste Michel Adolphe Goupil e oggetto di restauro da parte degli allievi dell'Istituto Centrale per il Restauro. In questa tela potente e ambigua vediamo tutta la forza di un linguaggio ormai proteso verso il simbolismo, e un riscontro ulteriore in tal senso ci viene dalla lettura del modello preparatorio esposto accanto. 

Dall'introspezione psicologica dei ritratti e dalle figure desunte dalla letteratura romantica europea «Il Conte Lara», «Lady Godiva», «Torquato Tasso legge la Gerusalemme Liberata a Eleonora d'Este» - alle visualizzazioni di momenti dell'agiografia cristiana («Gli ossessi», «Il cadavere di Santa Maria Egiziaca rinvenuto dagli angeli», e «I monaci (o Venerdì Santo»), Morelli passerà a immagini in cui la figura umana diviene quasi una drammatica chiave per comprendere la funzione narrativa di contesti brulli, estraniati, che corrispondevano all'idea del tutto immaginaria che lui ebbe di un Oriente che mai visitò, e di cui lo attrasse non solo l'agiografia cristiana, ma anche il misticismo religioso di un Islam ancora non praticato né vissuto in prima persona. Di qui il «Cristo nel deserto», il «Pater Noster (o Discorso della montagna)» e «Gli amori degli angeli». «L'Imbalsamazione di Cristo» anticipa, verso la fine del settimo decennio dell'Ottocento, gli scenari aridi e desolati di «Le Marie che da lontano assistono alla crocifissione di Gesù» (1898 ca.) o del «Giuda vede Cristo arrestato a Getsemani» (1900), e del «Cristo che veglia gli apostoli» (1900). Opere in cui la scala tra le figure e i contesti paesistici costruiscono drammi visti da una distanza ai limiti della percezione fisica, ma interamente calati nella dimensione mentale ed emotiva del racconto.

L'allestimento perfetto, coerente e sobrio di Chiara Stefani e lo spessore delle conoscenze di Luisa Martorelli permettono di entrare nel mondo di un grande maestro come di rado è dato constatare in una mostra. 

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