Mann, Giulierini: «Potrei anche rinunciare agli Uffizi per restare»

Il direttore del museo presenta il bilancio dei suoi otto anni

Il direttore Giulierini
Il direttore Giulierini
di Maria Pirro
Sabato 11 Novembre 2023, 09:31
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«Spero che il mio sia un arrivederci». Lo ripete più volte Paolo Giulierini, il direttore del Mann che tra staff in lacrime, cantieri appena aperti nel sottosuolo, nuove iscrizioni da aggiungere alle collezioni, presenta il bilancio in vista dell'imminente, e non più rinviabile, scadenza di mandato. Ma il manager toscano, 54 anni, vorrebbe rientrare tra qualche mese: sotto la sua guida il museo è stato promosso di fascia, cosa che potrebbe consentirgli di ricandidarsi, aggirando il limite di legge dei due mandati. Nel frattempo, però, si è candidato altrove.

È stato ammesso al colloquio per gli Uffizi. E se prima dovesse arrivare il bando che le concede il tris al Mann?
«Le procedure concorsuali richiederanno mesi: andrò al colloquio».

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E se il posto al museo fiorentino dovesse essere suo?
«Sarei pronto a lasciare anche gli Uffizi per Napoli: il Mann non è inferiore. Il problema è che lo hanno diviso da Capodimonte, dovrebbe essere unito».

Il suo mandato scade martedì.
«Il giorno dopo tornerò all'incarico di dirigente alla cultura e direttore del museo archeologico di Cortona, per non molti mesi abbraccerò le mie colline, rivedrò tanti amici e, soprattutto, studierò per i concorsi.

Il bando per Napoli dovrebbe uscire a fine mese».

Per il Mann dovrà studiare poco...
«Più o meno lo conosco... Devo guardare le nuove normative, soprattutto il tema del sisma e di intervento per la sicurezza, un problema che riguarda queste zone».

E i pezzi di intonaco che hanno colpito una turista?
«Tutto sotto controllo: si è trattato solo di un episodio».

Atrio per le mostre temporanee, collegamento diretto con la metro, sezioni da inaugurare, ex sala conferenze per ospitare i reperti sequestrati e i vasi greci, sedi diffuse tra cui l'Albergo dei Poveri in ristrutturazione. L'operazione di ampliamento degli spazi espositivi prosegue.
«E non si torna indietro. Per fare tutto occorrerebbero mandati come quelli di Amedeo Maiuri (dal 1924 al 1961, fino a due anni prima della morte soprintendente alle antichità per tutta l'Italia meridionale) ma ci vuole anche la salute e io nei primi 2-3 anni sono stato ricoverato per picchi di pressione...».

Ma è più difficile riqualificare un museo o il tessuto urbano intorno?
«Questo è un tema molto importante. L'area Unesco di Napoli non può permettersi di versare ancora in queste condizioni. Ecco perché abbiamo dato piena disponibilità alle istituzioni per sostenerle nel percorso: il turista non deve avvertire discrasie tra il museo e l'esterno. Cosa che non significa togliere le lenzuola appese alle finestre».

Della segnaletica Unesco che non c'è ha scritto nel bilancio. E poi?
«Il traffico, l'illuminazione, la sicurezza, i cantieri stradali, la pulizia, il decoro urbano...».

Cosa cambierà con il passaggio del Mann dalla seconda alla prima fascia, al di là dei tecnicismi e dello stipendio del direttore?
«Significherà avere tanti soldi in più da spendere per i progetti di collegamento con il Colosimo, la Galleria Principe di Napoli: ci sono i finanziamenti che provengono dall'Europa mediati dal ministero».

Quanti soldi?
«Dipenderà dalla capacità di spesa rispetto al Pnrr. Di certo il doppio rispetto a quello che abbiamo avuto: nel triennio 50 milioni, sarebbero stati 100».

Lascia un museo con un capitale umano adeguato?
«Con l'arrivo di 21 custodi, dai primi di dicembre siamo a posto per l'apertura delle sale. Abbiamo ancora un po' di sofferenza sotto il profilo amministrativo, non sotto il profilo scientifico. Ma cerchiamo sul mercato anche professionalità diverse, e al momento non ci sono concorsi per queste figure: i musei del futuro hanno bisogno di sociologi, etnologi, esperti del digitale».

Guardando al passato, qual è stata la mostra delle mostre?
«Sicuramente Canova».

Quale vorrebbe organizzare, se rientrerà in primavera?
«Una dedicata ai normanni, pensando anche agli 800 anni della Federico II, e altre due sulla storia dei pirati e gli indiani d'America da raccontare per l'ingiustizia che hanno patito».

Oramai otto anni fa arrivò nel museo, come visitatore, con il suo zainetto: cosa contiene?
«Matite colorate per segnare le cose sulla mia agenda che non è assolutamente digitale».

Cosa porta con sé, ora?
«Un sacchetto del bene che ho ricevuto, in realtà non uno solo».

Un momento buio?
«La sospensione dovuta alla sentenza del Tar, ma mi sento ancora profondamente riconoscente con Napoli per la mobilitazione con Luigi Necco e Mimmo Jodice: vorrei cercare di estinguere quel debito».

È pronto finalmente a cambiare fede calcistica, dopo la collaborazione anche con la società azzurra?
«Spero il Napoli torni in auge in Coppa campioni anche se mi sembra un po' sofferente: resta la mia seconda squadra, poi vedremo».

A proposito di occasioni mancate. Ha rimpianti?
«Sono dovuti essenzialmente alle vicende internazionali: abbiamo perso un importante partner come l'Ermitage, di San Pietroburgo, con cui avevamo fatto la mostra di Canova e ne avevamo altre all'orizzonte come quella su Samarcanda. Speriamo che la situazione consenta al Mann di nuovo di essere ambasciatore di pace».

Aver superato, domenica 5 novembre, i 500.000 visitatori è un traguardo, che segnala il trend positivo, ma non ancora adeguato a un museo così importante. Cosa manca ancora al Mann?
«Dopo due anni di Covid è complicato ricostruire, resta una certa diffidenza a tornare al museo: tante scolaresche non hanno ripreso un sistema di gite intenso. E, per arrivare all'obiettivo minimo che avevamo prefissato, un milione di persone, occorre un istituto al passo con questa cifra: l'atrio e servizi adeguati, dai bagni nel sottosuolo al ristorante. Ma manca poco».
 

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