La Napoli di Maurizio Valenzi, il «sindaco rosso» (1975-83),

Fuori concorso al Torino Film Festival l'opera di Alessandro Scippa

La Napoli di Maurizio Valenzi, il «sindaco rosso» (1975-83),
di Titta Fiore
Mercoledì 30 Novembre 2022, 10:54
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La Napoli di Maurizio Valenzi, il «sindaco rosso» (1975-83), rivive nel suo slancio sociale e nella sua complessità storico-politica nel film documentario di Alessandro Scippa, «La giunta», presentato oggi fuori concorso al Torino Film Festival. E rivivono, attraverso un interessante materiale pubblico e privato e tante interviste ai protagonisti dell'epoca, gli anni Settanta, che non furono solo «di piombo» ma anche di speranza e di cambiamento, e poi gli Ottanta, segnati dalle ferite del terremoto che incisero nella carne viva del corpo sociale, politico ed economico, modificandone profondamente gli equilibri. Ma, nel suo essere un prisma per riflettere, nei ricordi individuali, una memoria collettiva, «La giunta» diventa, allo stesso tempo, un confronto a distanza tra generazioni, una storia di genitori e figli nelle testimonianze di Lucia Valenzi, dello stesso regista, di Federico Geremicca, di Antonella Di Nocera, figlia di un ex operaio dell'Italsider produttrice del film (con Parallelo 41) e Luce Cinecittà. «Ci saremmo dovuti mettere tutti in gioco» dice il regista, «perché quella era e resta una storia che ci riguarda, e ci parla, ancora».

Che valore ha ripercorrere quell'epoca oggi che la politica è tanto cambiata?
«Si potrebbe definire un'utopia al contrario, o un'operazione nostalgica, perché no, rivendico la positività della nostalgia per il buono del passato.

In realtà, ho solo cercato di andare alla ricerca della bellezza della politica, della passione, due cose che a mio parere abbiamo perso. Invece sono un valore. Come la necessità di recuperare l'idea della buona politica, fatta da persone perbene e preparate. In questo senso il film nasce soprattutto dal desiderio di raccontare l'esperienza di mio padre, un esempio per me».

Antonio Scippa, con Valenzi assessore al Bilancio e alla Mobilità, che compare anche nel documentario accanto a sua madre Floriana.
«Un economista e un tecnico, un simbolo del professionismo della politica. Purtroppo è mancato lo scorso settembre e mi sono trovato a fare i conti con il suo lutto. Che poi, pensandoci, è anche il lutto della sinistra nel nostro Paese. Ho reagito nel modo che mi sembrava più giusto, ricordando ciò che è stato. E di cose buone in quegli anni ce ne sono state tante. Lo dimentichiamo o le critichiamo troppo spesso». 

Invece?
«Criticare è importante, ma il tafazzismo no. Volevo un progetto tutto in positivo, ne abbiamo bisogno per guardare al futuro. La giunta Valenzi era vicina alla gente, mio padre mi raccontava, per esempio, che il bilancio del Comune passava attraverso il confronto con i consigli di circoscrizione, con la base. E durante il colera le sezioni del Pci diventarono centri per le vaccinazioni. Ma ci sono tanti aspetti che non ho raccontato, come Estate a Napoli, la nascita del Centro Direzionale In fondo, ho cercato si astrarmi dalla storia della città, la giunta è un pretesto, sono andato alla ricerca di simboli. A quei tempi ero bambino, vivevo l'aspetto emotivo. E quello ho voluto riproporre». 

Suo padre ha visto il film?
«Non la versione definitiva. Mamma mi ha detto che era commosso, ma a me non lo ha dato a vedere. Aveva un gran pudore dei sentimenti. Valenzi, invece, nei filmini di famiglia che mostro nel documentario è molto affettuoso e fisico con i figli».

Il rapporto tra genitori e figli è centrale nel racconto.
«Abbiamo storie comuni. I ricordi di Federico Geremicca sono i miei, nel film parla anche per me. La vicenda del papà di Antonella Di Nocera, invece, racconta un altro lutto, la scomparsa della classe operaia, che a Bagnoli è stata un cuscinetto sociale importantissimo».

A chi si rivolge «La giunta»?
«A tutti, spero di incuriosire il pubblico. Il documentario è un invito ad aprire una porta su un'epoca in cui sono accadute situazioni straordinarie. Spero che la gente si emozioni, è la cosa che mi interessa di più. Oggi dovremmo riprendere a desiderare».

Cosa?
«Di ritrovare il gusto del confronto e dello stare insieme in una prospettiva di futuro. Valenzi desiderava una città più civile, più europea, più produttiva. Quest'ultimo obiettivo, purtroppo, non si realizzò, ma in campo culturale si può dire che il primo rinascimento napoletano, senza nulla togliere a Bassolino, si realizzò con le sue giunte, soprattutto fino al momento del terremoto, una drammatica cesura».

Lei a quei tempi era un bambino, che ricordi ha del «sindaco rosso», come lo definì Napolitano?
«Ricordo la sua voce al telefono di casa, quello grigio bicolore: Sono Maurizio, c'è Antonio?. Una voce dolce e autorevole. Per me era scontato che fosse lui».
 

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