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Vedi Napoli come era: Didier Barra la dipinse intera

Il quadro scoperto a Lione dall'antiquario Umberto Giacometti

La tela di Didier Barra esposta in via Morelli
La tela di Didier Barra esposta in via Morelli
di Ugo Cundari
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 26 Maggio 2023, 07:20
4 Minuti di Lettura

Dicembre dell'anno scorso. A Lione è in programma un'asta con paccottiglia varia, quadretti della nonna, lumetti scorticati, mobili kitsch, set di coltelli e cucchiaini. C'è anche una tela napoletana di apparente fattura dozzinale. Tra i partecipanti, l'antiquario Umberto Giacometti, abituato a scovare chicche per musei come la National Gallery di Washington. Aspetta la sua opera. Ha in mente il colpaccio. Se ne sta buono mentre davanti gli sfila di tutto, e misurati vecchietti si spingono al massimo a 100 euro.

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Ecco il quadro partenopeo. È presentato come un dipinto del Settecento. È lungo tre metri e alto 80 centimetri con il cielo e il mare blu, e al centro la veduta di Napoli. Lo sguardo di Giacometti si illumina. L'antiquario fissa l'opera. Non è sicuro, ma il suo intuito gli dice di scommettere. È un quadro come tanti di quelli che i viaggiatori del gran Tour apprezzavano, la Napoli placida, patinata, confortevole. Ci sono un paio di offerte intorno ai 1.000 euro, ma Giacometti sbaraglia tutti subito. Offre una cifra spropositata per questo tipo di opera. Intorno ai 30.000 euro. Tutti si ritirano, non ci sono specialisti in grado di capire che quell'opera potrebbe arrivare anche a 300.000 euro in prima battuta. E uno, e due, e tre. Nessuno rilancia, l'opera è sua. 

Appena gli viene consegnata a Napoli, Giacometti l'affida a due esperte restauratrici, Karin Tortora e Francesca Rodia, che rimuovono i colori posticci e rivelano il «vero» quadro, con il mare e il cielo che hanno ripreso i loro antichi colori, cupi, foschi. È una tela del francese Didier Barra, Giacometti ne è convinto. Non risalirebbe al Settecento ma al secondo precedente. Di preciso al 1622. Il valore storico è dato dalla rappresentazione della fuga in barca da Napoli del viceré spagnolo Antonio Zapata y Cisneros a seguito di una sommossa popolare contro di lui.

Il 1622 fu un anno di miseria. C'era la carestia, il grano dagli altri paesi non arrivava. La povertà era talmente diffusa e l'inflazione così alta che la gente limava le monete di rame, la cui dimensione era diminuita della metà di quella originaria, per poi rivendersi il ricavato al mercato nero. Fu anche l'anno della truffa della Zecca dello stato, dove arrivò un carico d'oro per nuove monete e sparì.

Ma non è tanto l'episodio storico a dare valore alla tela. È la città ritratta. Per la prima volta in una tela compare tutta Napoli, da Posillipo ai casali e ai villaggi lontani come Pianura, dai Camaldoli al porto a Pozzuoli a Capo Miseno. Non è la tela più antica di Napoli, perché il primato spetta alla famosa tavola Strozzi di fine del Quattrocento, ma mai prima della tela di Barra era stata ritratta tutta Napoli.

Ci sono anche palazzo Reale, allora edificato solo nelle sue due ali con la terza in costruzione, il ponte di Caligola a Pozzuoli, distrutto per sempre pochi anni dopo, e il faro del molo grande, crollato pochi mesi dopo per un incendio e ricostruito in altra forma. Gli edifici sono allineati scientificamente, così come le strade e gli incroci, anche se all'epoca di strumenti precisi non ne esistevano. Tutti i palazzi hanno il numero di finestre che in realtà avevano, tutte le chiese hanno i campanili di proporzione esatta, o almeno così sostiene Giacometti. Barra saliva ora sulla collina dei Camaldoli, ora sul punto più alto del castello di san Martino, e poi girava chiesa per chiesa, palazzo per palazzo, a misurare e disegnare, e così in un lavoro durato anni ha rappresentato la città nella sua interezza. «Probabilmente il quadro era destinato al viceré, come ricordo del suo breve regno, per questo in cielo vola un cigno, che in spagnolo si dice cisneros. L'opera è stata ritrovata nel Sud della Francia, vicino alla Spagna» dice Giacometti, presso il cui studio la tela rimarrà esposta fino a lunedì, per poi tornare nelle mani delle restauratrici per un altro mese di lavoro.

«Potrebbe valere fino a un milione di euro, spero che i musei napoletani se ne interessino», continua l'antiquario, per cui «la sua destinazione naturale è San Martino, dove già è esposta un'altra tela di Barra, la Veduta di Napoli». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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