Aldo Moro e i misteri di quella seduta spiritica

Aldo Moro e i misteri di quella seduta spiritica
Aldo Moro e i misteri di quella seduta spiritica
di Generoso Picone
Martedì 20 Aprile 2021, 10:21 - Ultimo agg. 21 Aprile, 09:44
4 Minuti di Lettura

Il 2 aprile 1978 era domenica e dalle parti di Zappolino, sulle colline tra Bologna e Modena, pioveva. O forse no. A dar retta a quanto allora registrava la Stazione meteo di Borgo Panigale, a soli due chilometri di distanza, la temperatura media segnava 11,4 gradi, il vento una velocità massima di 18,3 chilometri orari, la visibilità 5 chilometri e mezzo. Ma alla voce pioggia, niente. Eppure per il gruppo di amici - tutti professori universitari, economisti dal riconosciuto credito nazionale - che con mogli, fidanzate e figli si ritrovarono nella villa di Alberto Clò le condizioni atmosferiche apparvero proibitive. Lui, il fratello Carlo, Fabio Gobbo, Franco Bernardi, Romano Prodi e Mario Baldassarri che li raggiunse nel primo pomeriggio, tutti ricordarono di non aver potuto passeggiare in campagna e, per rompere la noia, decisero di provare con un gioco strano e decisamente irrituale per persone dalla salda razionalità come loro. Gioco fino a un certo punto, però. Una seduta spiritica per tentare di capire che fine stesse facendo Aldo Moro, rapito il 16 marzo precedente in via Fani, a Roma, da un commando delle Br che ne aveva sterminato la scorta.


Questa del pomeriggio piovoso anzichenò a Zappolino - il luogo della sanguinosa battaglia del 15 novembre 1325 combattuta dalle milizie ghibelline modenesi e da quelle guelfe bolognesi, romagnole e fiorentina, vinta con l'astuzia dai modenesi che Alessandro Tassoni avrebbe descritto nel suo poema eroicomico La secchia rapita - è la scena madre a cui converge la serratissima narrazione che Antonio Iovane conduce in La seduta spiritica.


La seduta spirita dei professori costituì un'incursione nella paragnostica alla maniera delle investigazioni sensitive dell'olandese Gerard Croiset per interrogare personaggi come don Luigi Sturzo e Giorgio La Pira sulle condizioni di Moro. Come stava? Dov'era? In che modo ritrovarlo? Dal gioco della tazzina di caffè sul foglio venne fuori il nome Gradoli: l'indicazione fu affidata agli organi di Polizia che andarono a cercare Moro nel paesino di Gradoli, nel viterbese, e non in via Gradoli 96 a Roma, dove in realtà era il covo dei brigatisti. Gli agenti avevano bussato alle porte dell'appartamento nel palazzo sulla Cassia ma nessuno aveva aperto e quindi passarono oltre. Una perdita di acqua filtrata al piano inferiore, il doccino lasciato in funzione, aveva segnalato che qualcosa non andava. Il 18 aprile il covo era stato abbandonato dai terroristi messi in allarme dal fragore scomposto sul nome Gradoli.


La seduta spiritica, a partire da un episodio erroneamente considerato marginale nei 55 giorni che condussero al 9 maggio in via Caetani, ricostruisce attraverso una preziosa inchiesta giornalistica nella Storia gli avvenimenti che si addensano intorno a quello strambo pomeriggio, ne delinea i punti oscuri e li riversa come inquietanti interrogativi ponendoli al centro di una vicenda che rappresenta la trama dolente di un affaire all'affannata ricerca di una verità: l'autentico mistero d'Italia che 43 anni dopo resta tale e slabbra il tessuto politico e civile nazionale in un prima e un dopo.

Le sequenze sono ripercorse accompagnandosi con la figura di Sciascia, dalla sua lezione che s'impone come l'egida della sua fatica, e l'affermazione dello scrittore siciliano che da parlamentare ebbe a scavare nelle ombre, cioè «la verità è semplice», è rafforzata dalla convinzione saggia del nonno di Iovane per scardinare un meccanismo al contrario reso artatamente complesso. L'atmosfera che si crea è di un «Todo modo» replicato, del film di Elio Petri tratto proprio dai racconti di Sciascia che uscito un paio d'anni prima assume la dimensione presaga di quanto sarebbe accaduto. Tanto che ha ragione Javier Cercas a sostenere: «Se un romanzo deve rischiarare la realtà tramite la finzione letteraria, imponendo geometria e simmetria là dove c'è soltanto disordine e casualità, non dovrebbe partire dalla realtà anziché dalla finzione letteraria?».


Le giornate delle settimane più dure che abbia vissuto la democrazia italiana scorrono tra le radiocronache delle partite di calcio del Bologna e le canzoni dei Bee Gees, le rievocazioni degli incontri tra Benigno Zaccagnini con Francesco Fonti emissario del boss Sebastiano Romeo e del passaggio del deputato dc Benito Cazora assieme a Rocco, uomo vicino alla 'ndrangheta in libertà vigilata, giusto dalle parti di via Gradoli, le deposizioni e gli interrogatori della commissione parlamentare d'inchiesta, le testimonianze di Giovanni Pellegrino e di Sciascia, le reticenze e i silenzi degli amici di Zappolino, considerazioni di Eleonora e Giovanni Moro, le impuntature di Francesco Cossiga. Eleonora Moro gli chiese di via Gradoli a Roma, lui rispose che non esisteva. La ragnatela kafkiana si distende nelle pagine di Iovane e viene da chiedersi il perché di tante domande senza risposta ancora oggi e il peso di trame, sospetti e inadempienze grava così tanto. «La verità è semplice», ripeterebbe Sciascia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA