Il corpo irrompe prepotente nella materia poetica, s'incarna nelle parole, si presenta e si impone, cerca spazio e voce affinché non solo i pensieri ma anche le membra, i muscoli, le ossa, l'impianto umano nella sua interezza trovi spazio e voce. Questo il compito che si è dato Angelo Nestore con I corpi a mezzanotte (Interlinea, pagine 55, euro 12, introduzione di Franco Buffoni), un compito che assolve con potenza e lievità allo stesso tempo, facendo sue le istanze Lgbt ma rimandandocele con tenerezza, come un dono più che una rivendicazione.
E tutto scorre su un doppio binario, a cominciare dalla personale biografia che lo vede tra il Salento natio e la Spagna di adozione, la figura mitizzata della madre che si oppone a quella del padre, il desiderio insoddisfatto (per ora?) di paternità che si confonde con il senso ancestrale della maternità, dunque l'assenza del figlio desiderato e la sua evocazione immaginifica che invece lo rende presente, protagonista vivo dei «Canti a una culla vuota» che, almeno attraverso i versi, tanto vuota non è: «Lei non sa che sulla schiena/ porto il peso di tutte le mie figlie immaginate».
E a proposito di tenerezza: «La mia bambina, che non è la mia bambina, vive come me in periferia,/ il suo corpo ancora alla ricerca della caduta».