Arturo Bascetta, Il marchese di Pietrastornina: Francesco Federici e ​la Repubblica napoletana del 1799

Federici fu decapitato il 23 ottobre del 1799 nel cortile dell'allora Castel nuovo

Francesco Federici e la Repubblica napoletana del 1799
Francesco Federici e ​la Repubblica napoletana del 1799
di Ugo Cundari
Venerdì 6 Gennaio 2023, 12:00
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La Storia, si sa, non si fa con i se, ma... se Francesco Federici avesse avuto qualche altra settimana a disposizione, forse la Repubblica napoletana del 1799 sarebbe durata più di cinque mesi, con tutto quello che avrebbe significato per Napoli e per il Mezzogiorno.

A suggerirlo è Vincenzo Cuoco nel suo Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli. Perché Federici in poche settimane era riuscito a radunare un esercito di mille uomini, e poco prima di giugno, mese in cui la spietata repressione borbonica stroncò la Repubblica, aveva avuto l'incarico, di trovare nuovi arruolati in una spedizione che l'avrebbe portato dalla sua amata Irpinia fino in Puglia. Di nuovi combattenti per la causa ne avrebbe trovati tanti, Federici era un uomo di grande fascino a autorevolezza, in grado di portare dalla parte dei liberatori napoletani tutti quelli ai quali riusciva a parlare della neonata repubblica.

«Molto fine sul piano pedagogico, sapeva spiegare alla gente con linguaggio semplice e chiaro, dato il diffuso analfabetismo di quei tristi tempi, i valori della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità propugnati dalla Repubblica Partenopea». In molti passavano dalle fila borboniche a quelle dei rivoltosi. Federici sapeva bene quali parole usare perché lui per primo aveva militato a lungo nell'esercito del regno raggiungendo i gradi di maresciallo. Poi, aveva tradito, «ma non parlerei di tradimento, il suo fu un ravvedimento. Capì che doveva combattere dalla parte giusta della storia e non ebbe paura di passare dall'altra parte» dice Arturo Bascetta, che con la sua omonima casa editrice firma il saggio Il marchese di Pietrastornina (pagine 152, euro 30).

È la prima biografia di Federici, «destinato a una grande carriera militare che preferì rinunciare a tutto e aderire agli ideali, che definirei socialisti, della Pimentel Fonseca».

I documenti dell'epoca ritrovati dall'autore testimoniano della dedizione alla causa di Federici. «A 64 anni, e con una malattia cronica ai reni che spesso lo immobilizzava per il dolore, trascurò la salute pur di combattere per la libertà».

Federici era nato a Napoli nel 1735 da una famiglia nobile originaria di Pietrastornina, nell'avellinese, con proprietà e palazzi anche nel borgo amalfitano di Cetara. Come soldato semplice e poi con i gradi più alti fino ad arrivare a comandante di tre reggimenti di cavalleria, fece esperienza di guerra in molti conflitti, non solo in Italia ma anche all'estero, tra Francia e Germania «e forse fu lì che capì che i popoli potevano vivere anche più liberamente, senza il giogo della tirannide, e decise di combattere non per, ma contro i Borbone».

Secondo lo storico Diomede Marinelli, un mese prima della nascita della Repubblica, nel dicembre 1798, Federici «aveva parlato forte con il re, facendoli vedere l'ingiustizia dell'amministrazione di questa giustizia, l'aggravio delle Province, e la mala condotta nella guerra». Federici fu decapitato il 23 ottobre del 1799 nel cortile dell'allora Castel nuovo. Scrive Bascetta: «Non si smentì neppure in punto di morte, continuando a parlare dal palco della forca ai soldati che piangevano di dolore». Così lo descrisse Francesco Lomonaco, un cronista dell'epoca: «Uomo di genio, che all'elevatezza de' talenti militari aggiungeva le cognizioni politiche, morì con la massima presenza di spirito». Scrisse Cuoco: «Egli sapeva profondamente l'arte della guerra; ma insieme coll'arte della guerra egli sapeva mille altre cose, che per lo più ignorano coloro che sanno l'arte della guerra. Il suo coraggio nel punto della morte fu sorprendente». 

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