Dallo scorso anno un libraio napoletano, Pasquale Langella, ha affiancato al suo primo lavoro l'attività di editore. La circostanza è da segnare con una forte sottolineatura perché avvenuta in una stagione in cui molte librerie, anche illustri e di antica tradizione, hanno chiuso i battenti (beninteso non solo per il Covid).
Il neoeditore, che ha voluto in tal modo «rilanciare la posta», cercando di ribaltare la crisi della lettura cartacea, ha dato vita a tre collane, di cui l'ultima, «Carte e cartuscelle» come una canzone di Pino Daniele, è particolarmente suggestiva per temi e modalità di confezione. Libricini di poche pagine sono stampati in esemplari numerati, su carta Amalfi, con legatura a filo artigianale e offerti, con segnalibro d'artista, in un elegante cofanetto (cartaceo, ovviamente). Dei tre usciti finora, il primo, Tisanuri, è firmato da Pietro Treccagnoli; il secondo, Gli altarini, è un brano tratto dal Ventre di Napoli della grande Matilde Serao, relativo alla religiosità mistica e pagana insieme dei napoletani. L'ultimo, pubblicato in questi giorni, ha per titolo La biblioteca di Virginia Woolf (pagine 14, euro 25). Ne è autore un eminente anglista, Stefano Manferlotti, già collaboratore de «Il Mattino».
L'esperienza di lettrice della Woolf conferma che i più significativi scrittori del Novecento, italiano ed europeo, hanno coniugato le loro splendide creazioni in versi e in prosa con interventi critici di non minore vigore e problematica lucidità, dedicati alla lettura e al commento di testi altrui, remoti o prossimi o anche coevi. Si potrebbe sostenere, senza azzardo, che se non ci fossero stati tramandati come classici della letteratura, quei poeti e narratori sarebbero stati inclusi nel canone della più inquieta e avvertita saggistica della modernità.
Nelle poche, ma sapide e sagaci, paginette di Manferlotti sono illustrate le modalità di lettura predicate e praticate dalla scrittrice inglese e con esse l'idea che ne sollecita e anima l'ispirazione, ovvero che i libri sono generati da altri libri.
Nei suoi diari sono elencati scrupolosamente, tra gli altri, Swift, Fielding, Austen, George Eliot, le sorelle Brontë, Thacheray, Dickens. Nella sua biblioteca non mancano i tragici greci (letti in originale). Sorprendenti ci appaiono alcuni giudizi stroncatori, come quelli espressi sull'Ulisse di Joyce: «Una catastrofe memorabile».
Tra gli autori ammirati da Virginia Woolf sfilano i francesi Flaubert, Maupassant, Stendhal e più tardi Proust, ma sopra tutti i russi, Tolstoj, in prima linea seguito da Cechov. Adorato incondizionatamente risulta il Lord Jim di Conrad. Manferlotti opportunamente rimarca la relazione che si crea tra la cospicua attività di critico letterario della Woolf e le sue concrete realizzazioni espressive: «Un dialogo costruito su vasi comunicanti, in cui stilemi e idee fluiscono dall'uno all'altro, avanti e indietro, come corsi d'acqua in perenne movimento».