«I Borbone? Primato sì ma di fake news»: Armino smonta i falsi record del regno di Napoli

«I Borbone? Primato sì ma di fake news»: Armino smonta i falsi record del regno di Napoli
di Ugo Cundari
Venerdì 21 Maggio 2021, 10:14
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Per capire il senso del saggio dal titolo ironico Il fantastico regno delle Due Sicilie (Laterza, pagine 136, euro 14), si può iniziare dall'ultima pagina, dove c'è uno schema con i presunti primati dei Borbone, una ventina. Al fact-checking, di questi se ne salvano quattro. Gli altri, dalla prima cattedra di Astronomia (Padova, 1307) al primo bacino di carenaggio in muratura (Genova, 1851) o alla prima illuminazione a gas (Torino, 1822), sono fake news propagandate ad arte. L'autore, il calabrese Pino Ippolito Armino, è ingegnere di formazione e storico per vocazione, direttore della rivista «Sud contemporaneo» e membro del comitato direttivo dell'Istituto Ugo Arcuri per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea.


Armino, non si sente in colpa nel denigrare il glorioso Meridione?
«Sono un meridionale orgoglioso e proprio per questo amo la verità e mi indigno di fronte alle tante falsità messe in giro da chi ha interessi oscuri. Chi diffonde dati falsi per esaltare o vittimizzare il Sud agisce per due ragioni, o per vendere più libri seguendo la moda, oppure, cosa più raccapricciante, per strumentalizzare la gente diffondendo, in malafede, notizie false. È giusto sentirsi legato alla propria terra e credere che non sia solo camorra e sporcizia, ma scrivere falsità non lo accetto».


L'impressione è che l'appendice finale sui falsi primati poteva essere molto più lunga...
«È una sintesi, di altri parlo nel libro».


Per esempio?
«Quella del primato della raccolta differenziata, che fa sorridere. Tra le falsità quella che più circola e più risulta odiosa è sullo sterminio di massa del popolo meridionale dopo l'Unità. Qualcuno si spinge a parlare di genocidio, una vergogna».


I Savoia qualche morto, anzi più di uno, lo fecero, però.
«Appunto, qualcuno, ma non certo migliaia come dicono i neoborbonici».


Ci fa qualche esempio preciso, dati alla mano?
«Gliene faccio due, il massacro di Fenestrelle e l'eccidio di Pontelandolfo. Nel primo caso il revisionismo borbonico, capeggiato da Pino Aprile, in barba a ogni documentata ricostruzione storica, ha individuato nel forte di Fenestrelle, sulle Alpi, il luogo simbolo della deportazione dei soldati napoletani dopo l'Unità e del presunto massacro di alcune migliaia di loro, tra stenti e sofferenze.

Gli archivi dimostrano che tra il 1860 e il 1865 si registrano quaranta decessi a Fenestrelle, tra soldati borbonici ed ex papalini».


E per Pontelandolfo?
«Anche in questo caso si parla di centinaia di morti, in realtà ne furono alcune decine, per carità, non giustificate, frutto della rappresaglia dell'esercito italiano composto da quadri del regno sardo, e interessò la popolazione civile. Prima dell'eccidio ci fu il massacro di alcuni soldati, se si elimina il contesto non si ha chiaro l'episodio, pur da condannare nella maniera più assoluta, ma facendolo rientrare nelle sue proporzioni».


Secondo lei non è vero nemmeno che il Nord rubò i soldi a Napoli.
«È un altro feticcio neoborbonico. Certo, per alcune aziende del Sud, ma anche della Lombardia e del Veneto, l'Unità comportò il fallimento. Per altre però allargò il mercato e gli introiti, come nel caso del Banco di Napoli».


Tra le sue contestazioni più forti, ci sono quelle sull'istruzione.
«I Borbone si accanirono contro la diffusione dell'istruzione. Nel 1830, con l'ascesa al trono di Ferdinando II, a Napoli c'erano 50 scuole primarie con 3800 alunni. Le scuole raggiungevano il 4% dei potenziali studenti. Il rapporto tra scuole primarie e popolazione era disastroso, in Francia era quattro volte più alto, in Inghilterra otto, in Lombardia nove. Nell'ultimo decennio borbonico gli universitari erano sottoposti, anche nella vita privata, al controllo di un apposito funzionario. Al censimento post unitario l'analfabetismo interessava al Nord 464 maschi e 574 femmine su mille, al Sud 835 maschi e 938 femmine su mille».


Ma almeno è vero che a Napoli fu inventato il bidet?
«Certo, ma chi lo poteva usare? Non il popolo, perché mancavano anche le fogne. E il bidet che importanza poteva avere per un napoletano privato delle minime libertà, fogne a parte? È ovvio che nella sua storia Napoli può vantarsi di alcuni primati, ma la quasi totalità è dovuta al decennio murattiano, non certo ai Borbone».


Spera con questo libro che qualche neoborbonico cambi idea?
«Che almeno si metta in discussione, che abbia la serietà di citare le fonti quando diffonde o condivide dati. E magari che i più accaniti neoborbonici smettano di citare uomini come Gaetano Filangieri, che i Borbone li ebbe sempre in odio pagando con l'esilio lui, con la persecuzione la sua famiglia».
 

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