Cultura digitale, siamo apocalittici o integrati? Per sciogliere il famoso dualismo di Umberto Eco, prevale l’area del “non si legge più come una volta” o la mozione “non si è mai letto e scritto tanto come ora”, tra smartphone e social network? Una risposta prova a darla Claudio Calveri con il saggio “Narrazioni digitali” (editrice Bibliografica, pag. 158, 19 euro). Napoletano, 45 anni, giornalista e scrittore, oggi si occupa soprattutto di strategie di comunicazione per aziende ed è curatore della candidatura di Napoli come “Città della letteratura” Unesco.
Il saggio va presto ad analizzare gli scenari dal punto di vista del libro: se sia preferibile nella sua veste storica, quasi intrinsecamente insuperabile perché “il volume si svincola dalla sua forma fisica”, e perché sarebbe superiore dal punto di vista formativo e della trasmissione di conoscenze. Ma tenendo conto degli indubbi vantaggi, specie ecologici, del formato digitale: una libreria di libri tradizionali, scrive Calveri, pesa 2 tonnellate, la stessa quantità di ebook un miliardesimo di miliardesimo di grammo.
“Vaste problème”. L’autore, che il suo saggio lo ha scritto anche in cartaceo, non stabilisce preferenze ma sceglie di cosa parlare, approfondendo la narrativa nell’era digitale in ogni fase, dall’autore alla pubblicazione.
Il saggio, o manuale, prosegue prendendo in considerazione le varie parti del processo che porta all’edizione: i formati oltre l’ebook, tra audiolibri e podcast. Il marketing, dalla promozione online all’autopubblicazione e al crowfunding. E il design, anche quello narrativo, con esempi sull’utilizzo di titoli fortunati (Murakami, “Norwegian wood”) adottati da altri autori per compendiare e veicolare i propri testi. Fino alla conclusione: “La parola scritta entra definitivamente in un contesto più ampio, denso di opportunità e sfide. La narrazione evolve, integrando diversi linguaggi in un ambiente fluido e insieme legato a regole rigide”.