Condò racconta le sue «Porte aperte»:
«Il San Paolo è sempre stato il Maradona»

Condò racconta le sue «Porte aperte»: «Il San Paolo è sempre stato il Maradona»
di Bruno Majorano
Martedì 5 Gennaio 2021, 14:00
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Il magico potere dei social. Nasce così l’idea di Paolo Condò - giornalista sportivo e opinionista di Sky Sport - di raccontare gli stadi che hanno accompagnato la sua carriera. «Uno stadio al giorno» si chiamava il thread lanciato durante il primo lockdown di marzo: un racconto (di vita e di calcio) ogni giorno per tenere compagnia ai tantissimi follower su Twitter. «Più che i social, la vera spinta è stato il lockdown: stare a casa e avere tanto tempo a disposizione mi ha fatto venire l’idea». Un tweet tira l’altro e alla fine il fenomeno è diventato di portata nazionale, al punto tale da arrivare al libro «Porte aperte» (Baldini e Castoldi, 235 pagine, 25 euro) che più di tutto è una speranza per il futuro. «In momento in cui gli stadi sono chiusi al pubblico per la pandemia, mi è sembrato il titolo più appropriato. Il tutto, ovviamente, con la speranza di riavere quanto prima la riapertura degli stadi».

«Porte aperte» è un viaggio tra i viaggi, quelli che Paolo Condò ha fatto durante la sua carriera da inviato per la Gazzetta dello Sport raccontando il calcio, le partite, ma soprattutto il contorno: le atmosfere, i riti, i personaggi, i compagni di viaggio. E allora, muniti di un passaporto virtuale si passa dll’Europa (tra Madrid, Londra, Barcellona, Mosca) al Sudamerica (Brasile, Cile, Perù, Argentina e non solo), con qualche puntata in Asia (Giappone e Cina) e Africa (Sudafrica). Ovviamente si parla anche di Italia, e di Napoli. «Nel libro lo stadio si chiama ancora San Paolo, ma dentro di me ho sempre cullato la speranza che prima o poi l’impianto venisse intitolato a Maradona», spiega Paolo Condò. «Perché quello stadio è sempre stato di Diego e nei giorni del lutto si è visto ancor di più l’amore che la città di Napoli e i napoletani hanno avuto e hanno tutt’ora per lui». Napoli, il San Paolo (oggi Maradona) e Diego sono anche l’occasione per aprire il cassetto dei ricordi. «Mi sono sempre sentito un privilegiata nel poter vivere da così vicino l’epoca di Maradona a Napoli. Da inviato trascorrevo giornate indimenticabili di calcio condito a sole, mare e cene tra amici e colleghi napoletani e non. Indelebili i ricordi del simpaticissimo Carlo Iuliano. La mia era una vita leggera. Venivo a Napoli a raccontare le partite del giocatore più grande: era il Paradiso».

Il racconto del San Paolo è un mix di emozioni e sensazioni. «A fine partita i giornalisti scendono sotto la tribuna centrale e per raggiungere gli spogliatoi percorrono radenti al muro il semicerchio allo scoperto. Radenti al muro per non diventare un bersaglio, visto che si passa sotto i settori più bellicosi dello stadio: una gara di rapidità e destrezza che mi ha sempre divertito». 

Napoli, ma non solo. «Sono stato meravigliosamente bene anche quando ho seguito il quadriennio del Barcellona di Guardiola. Ma forse lo stadio a cui sono più legato è Anfield. Quello di Liverpool è l’unica stadio in cui non sentivo l’inno della Champions League prima delle partite, perché interamente coperto dal coro dei tifosi che cantavano «You’ll never walk alone». E poi ci sono gli stadi e le avventure non raccontare nel libro. «Su tutte quelle del Cagliari e del Parma nei loro anni migliori tra serie A e coppe europee. Senza dimenticare il periodo magico della Sampdoria d Vialli e Mancini». Quindi sorge quasi spontaneo chiedersi se ci sarà un sequel. «Non penso, per ora spero solo di vedere le porte aperte degli stadi veri».

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