Faccia a faccia con il caos, ecco il mondo nuovo di David Weinberger

Photo by Darius Bashar on Unsplash
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di Cristian Fuschetto
Lunedì 28 Settembre 2020, 16:00
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Il futuro non è più quello di una volta. Colpa, manco a dirlo, di internet e delle tecnologie digitali. Colpa del nuovo mondo. Pensiamoci un attimo: come siamo abituati a pensare il futuro? Lo immaginiamo grosso modo come un groviglio di possibilità in mezzo alle quali si dirada pian piano la nostra destinazione. Scegliamo un punto nel bosco dei percorsi possibili, facciamo delle previsioni su come raggiungerlo e se siamo bravi a unire per bene i puntini tracciamo un sentiero al termine del quale rimarranno poche possibilità superstiti, quelle destinate a diventare effettivamente reali. Il cammino che ci conduce al domani è un percorso che procede per sottrazione: groviglio, previsione, destinazione. Bene, secondo David Weinberger è arrivato il momento di inventare nuove metafore. Il futuro non è ciò che rimane del bosco, è un bosco che non smette di crescere.
 
Nel mondo interconnesso e digitalizzato la strada che ci porta al futuro procede per addizione. Il groviglio delle possibilità aumenta a ogni passo, il sentiero svanisce e la destinazione scolora, anzi diventa letteralmente imprevedibile. Non è una prospettiva rilassante, è vero, non a caso il libro di Weinberger si intitola “Caos quotidiano” (sottotitolo: “Un nuovo mondo di possibilità”, così per indorare la pillola). Co-autore del “Cluetrain Manifesto”, bibbia del marketing nell’era del web, consulente per molte delle big tech californiane, Weinberger dirige l’Harvard Library Innovation Lab e, sopra tutto, scrive cose interessanti a proposito di internet.
 
«Internet – afferma – è stata progettata per la non anticipazione». La rete è cioè uno spazio deliberatamente pensato in modo da non anticipare soluzioni, è un sistema nato per fornire il minor numero di servizi possibili agli utenti. Appare controintuitivo, ma come ha detto David Reed, uno degli ingegneri che ha scritto i protocolli della rete, «l’ottimizzazione di un servizio implica la non ottimizzazione degli altri». Se la rete fosse nata con un motore di ricerca incorporato avrebbe inevitabilmente finito col rispecchiare le esigenze previste dai progettisti. E lo stesso vale per i protocolli di sicurezza, l’archiviazione e tutti i servizi di cui è possibile anticipare il bisogno da parte degli utenti. Anticipare in modo troppo rigido la destinazione di un prodotto limita il prodotto. Se vi state chiedendo come si fa a vivere in un mondo popolato da prodotti senza scopi la risposta è che ci siamo dentro almeno da una ventina di anni. Da quando, appunto, viviamo sul web.
 
Weinberger cita studiosi, illustra tecnologie e snocciola una miriade di esempi per spiegare come la rete ha trasformato il modo in cui stiamo al mondo e anche quello in cui lo pensiamo. Prendiamo questa storia dei prodotti svincolati da scopi troppo rigidi. Nel mondo di prima, quello analogico, la cosa in assoluto più importante per chiunque avesse in mente di progettare una qualsiasi cosa è sempre stata quella di anticipare un bisogno. Quando Henry Ford ha progettato la Model T ha fatto le cose così bene da rivoluzionare i trasporti: quindici milioni di esemplari vendute in 19 anni senza mai apportare modifiche significative. A una nazione in crescita e a una classe media desiderosa di mobilità Ford ha detto: ecco la risposta. Non una, ma “la” risposta. Si dice che quando gli ingegneri gli mostrarono il prototipo di una versione aggiornata, Ford ordinò di farla a pezzi con una mazza, si voltò e andò via senza aggiungere altro. Oggi una cosa così non è pensabile (non mi riferisco al temperamento). La Model T esauriva la funzione, punto e basta.
 
Il mondo digitale, invece, è dominato dall’interoperabilità, un prodotto nato per una piattaforma può essere riadattato in un’altra, diventare un altro servizio e far ricominciare la giostra. I computer, per esempio, a che servono? A niente di preciso, possono fare qualsiasi cosa rappresentando il mondo sotto forma di bit. Vale lo stesso per internet, dove quasi tutto può diventare un motore polivalente: uno strumento che permette la costruzione di altri strumenti. Pensiamo a GitHub, la più grande comunità mondiale di sviluppatori, una sorta di magazzino virtuale dove chiunque sviluppi codici può prendere, lasciare e condividerne. GitHub ospita attualmente 28 milioni di sviluppatori e quasi 100 milioni di progetti. Cos’è GitHub se non una immensa fabbrica reticolare costruita sulla negazione della linearità fordista? Così come la fabbrica novecentesca traeva la sua forza dalla capacità di anticipazione, le fabbriche del mondo nuovo si nutrono di feconda imprevedibilità.
 
Oggi il futuro è non lineare e la cosiddetta open innovation ne è in fondo una conseguenza. Invece di rispondere a un bisogno attraverso uno dei tanti modi possibili (sottrazione di possibilità), nel mondo digitale la risposta a un bisogno genera per sua natura intrinseca nuove risposte ad altri bisogni (addizione di possibilità: caos!). «Nel complesso – annota Weinberger – internet è generativa in una misura che finora abbiamo sperimentato soltanto con il linguaggio». Ma forse ancora più interessante di una riconsiderazione del futuro, il filosofo americano offre uno spunto per riconsiderare la natura stessa della realtà. Non passa giorno che non si legga di intelligenza artificiale e deep learning, dietro alle app che gestiscono i delivery, i robottini domestici con cui colloquiare, i traduttori automatici ma un qualsiasi motore di ricerca, sono infatti all’opera sistemi in grado di fagocitare quantità enormi di informazioni per poi metterle in ordine. Come lo facciano, che ci crediate o meno, non è ancora chiaro. Deep Asclepio, per esempio, è un programma in grado di esaminare non solo l’intera cartella clinica della vita di un paziente, ma di associare questi dati anche a quelli relativi all’ambiente in cui ha vissuto, ai viaggi fatti o all’istruzione ricevuta, trovando relazioni che un umano non avrebbe mai nemmeno immaginato. Deep Asclepio non sa cosa sia il diabete ma può arrivare a diagnosticarlo meglio di uno specialista. Se un medico volesse capire come il sistema sia arrivato a una determinata diagnosi dovrebbe fare proprie milioni di ponderazioni e connessioni giudicate rilevanti dal suo omologo artificiale, il che è in molti casi semplicemente impossibile.

«La semplificazione non è più necessaria per creare un modello operativo utile», osserva Weinberger. E questo è un dato, ma il ragionamento porta molto più lontano. «Il successo del deep learning – continua – ci suggerisce che il mondo non si compone di eventi nettamente separati che possono essere previsti consultando una manciata relativa di leggi eterne». Quel che fino a ieri ci prendevamo il lusso di considerare imprevedibile si sta rivelando poco più che una comoda approssimazione utile a nascondere una molesta verità: la reale complessità del reale. «Mentre rimaniamo senza fiato davanti alle meraviglie che le nostre macchine sono oggi in grado di fare, restiamo anche ammutoliti davanti alla prova lampante di ciò che sapevamo da tempo ma abbiamo spesso rimosso: i nostri vecchi modelli semplificati non erano altro che l’ipotesi approssimativa di un paio di chili di materia grigia che tentano di comprendere un regno in cui tutto è collegato e influenzato da tutto». 

A parte i nuovi orari scolastici (per chi avessi figli in quella età), anche l’uso quotidiano di internet e di macchine intelligenti ci mette faccia a faccia con il caos.
 
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