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Lyacos nella terra desolata

Lyacos ibrida narrativa e poesia con altre forme ma sempre attraverso l'idea di sintesi caratteristica della poesia

Dimitris Lyacos
Dimitris Lyacos
di Giuseppe Montesano
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 21 Gennaio 2023, 10:00
4 Minuti di Lettura

Cosa sarà mai questo Poena damni del greco Dimitris Lyacos, tradotto in italiano da Viviana Sebastio per le edizioni ilsaggiatore, dopo essere stato tradotto in sette lingue e dopo che Lyacos è diventato uno scrittore per il quale si parla ogni tanto di premio Nobel? Apriamo il libro, formato da tre volumetti intitolati Z213:Exit, La gente dal ponte e La prima morte, e ci troviamo a leggere un racconto in prosa: «Mangiavamo insieme ogni tanto... Tre quattro cinque tra noi ci volevamo bene Veniva uno del personale con una lista E li portavano in un posto speciale E li prendevano da lì e li calavano dentro la fossa... E si sentiva gridare fino alle ultime case e tutti capivano...», e anche noi capiamo che queste persone, gettate vive in una fossa, sono condannate a morire lentamente nel terrore, forse a causa di quella che Lyacos chiama «la violenza istituzionalizzata».

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Ma presto il racconto comincia a sgretolarsi, compaiono versi interi e poi versi con parole mancanti, e si comincia a capire che ci sarà un viaggio, il percorso di un testimone di sé stesso e di Everyman che arriverà, in un viaggio che è ancora un'Odissea e una Via Crucis all'ultima o penultima stazione, quella raccontata nel terzo libro, La prima morte: dove il viaggiatore vivrà, mutilato, la sua stessa fine. 

E poi? E poi Lyacos sta scrivendo un quarto libro, perché in realtà la morte del suo «Ulisse» non è finita, dal momento che la vera morte sta nel rendersi conto di essere in eterno lontani da Dio: in un inferno reale e contemporaneo che è allo stesso tempo un inferno teologico e metafisico, in cui la «poena damni», la pena del dannato, è proprio la distanza assoluta dal Bene.

Per dire questo Lyacos ibrida narrativa e poesia con altre forme, ma tutto attraverso l'idea di sintesi caratteristica della poesia: Poena damni è un «poema», ma dove si passa dall'horror alla Stephen King, e ancora di più dall'horror metafisico alla Thomas Ligotti, al Pound dei Cantos, dai demoni del Vangelo ai personaggi mutilati di Samuel Beckett, dall'Apocalisse biblica alla teatralizzazione di romanzi come Io sono leggenda di Matheson, dall'Inferno dantesco alla graphic novel in stile Sin city, fino a schegge di mistica bizantina e di Romantik nera, frantumi quasi irriconoscibili del passato per i quali valgono le parole di Eliot: «Con questi frantumi ho puntellato le mie rovine» in un caleidoscopio che è stato definito sur-contemporaneo ma che sembra invece voler essere proprio una The waste land di oggi, conficcata nello spappolamento degli ultimi trent'anni. 

Ma ciò che fin qui si sta cercando di indicare a chi leggerà Poena damni, è scritto ancora «dall'esterno», vale a dire dopo una sola lettura, completa ma per ora ancora di superficie. Perché ciò che rende sorprendente, e quindi da leggere, il poema di Lyacos, è il fatto che, come le grandi opere del Novecento, chiede una lettura che sia un'immersione totale in cui il lettore si faccia pienamente complice dello scrittore, chiede un lettore che legga e rilegga da complice ma anche da avversario, come se ancora la letteratura fosse quella che è stata fino alla morte di Beckett: una essenziale, insostituibile battaglia fra il Niente e l'Altrove nella no man's land in cui viviamo.

E alla fine quello che colpisce il lettore è il gesto di Lyacos, che ha studiato tra l'altro la filosofia della logica e Wittgenstein, di dedicarsi per trent'anni, sia pure a sprazzi, a scrivere un poema per ora breve ma di considerarlo ancora in costruzione: un gesto compiuto al di fuori delle prigioni imbottite di ovatta in cui oggi si aggira la letteratura, un gesto che chiede alla letteratura di essere conoscitiva e al lettore di partecipare pienamente al rito letterario, e non per semplici motivi di estetica, ma perché leggere per vivere è un'azione rischiosa. Un'azione ridicola di fronte allo strapotere dell'intrattenimento in cui affoga la letteratura, e con essa la politica e l'esistenza, nella società dello spettacolo? Mah! Se apriamo La terra desolata di Eliot decifriamo un'epoca più che se leggessimo milioni di pagine di resoconti e di Storia: vuol dire che la letteratura conoscitiva serve, e solo perché riesce a «vedere» la realtà.

Non so se Lyacos possa diventare l'autore della Waste Land degli anni Duemila o se sarà un epigono: ma so che la via che ha scelto è quella giusta della scrittura che chiede al lettore di svegliarsi, e che milioni di pagine che ci intrattengono sono solo fru-fru per non pensare, per nascondere la testa sotto la sabbia. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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