Elena Ferrante, una febbre globale

di Silvio Perrella
Venerdì 22 Settembre 2017, 00:00 - Ultimo agg. 09:10
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Soprattutto in America c’è una vera e propria febbre Ferrante. E il documentario che s’intitola Ferrante Fever la documenta andando alla ricerca di chi quella febbre l’ha contratta, a cominciare da Hillary Clinton. Non si tratta di un “po’” di febbre, come amava intitolare le sue prose Sandro Penna, ma di molta, di una temperatura che cresce e che fa di Elena Ferrante un nome-ventriloquo.

Un nome che parla con molte voci, tante quante quelle individuate nel film di Durzi e tutte quelle che si aggiungono sotterraneamente: il brusio dei lettori. Qualche tempo fa ero a cena con Tracy Chevalier e la conversazione andava così così, finche non è venuto fuori il nome di Elena Ferrante. «L’adoro», esclamò l’autrice de La ragazza con l’orecchino di perla. Le piaceva soprattutto la tetralogia, la storia delle due amiche, la Napoli che ne vien fuori: «E Napoli è proprio così?», chiese.

Sì, Napoli: è così ed è anche diversa; Napoli è un poliedro e ha una sua carnalità; e in luoghi nei quali è prevalsa la virtualità è un salutare pugno nello stomaco.

Mentre osservavo la Chevalier, pensavo che Napoli non avrà mai il suo Grande Romanzo; proliferano piuttosto i Romanzi di Napoli. E questo è un bene; è il segno della sua imprendibilità.
In Ferrante Fever si sente una voce fuori campo che dice: fuori dai miei libri, sono una persona come tante altre. Il mistero del nome agisce. La traduttrice americana della Tetralogia dice che non può parlare a nome dell’autrice, bensì dei libri che ha scritto. E lo dice con un bel viso e uno sguardo intelligente. Che importanza ha chi li ha scritti, dicono i suoi occhi; bastano i suoi libri e quel che producono nella nostra immaginazione. Sì, il dilemma non si scioglie, ma funziona come moltiplicatore.

Il nome-ventriloquo parla con voci sempre diverse e diramate: adesso è un documentario, domani sarà una serie televisiva e domani l’altro chissà cos’altro. Quando Roberto Saviano sottolinea l’eleganza dello scomparire, lo fa riflettendo in controcanto su se stesso. La più invisibile delle scrittrici e il più visibile degli scrittori si danno la mano. Lei, argomenta Saviano, non prende posizioni politiche e dunque può non esserci. Io, al contrario, ho dovuto esserci all’infinito. Lo stesso mestiere – scrivere –; due opposte posizioni su se stessi. Materia di riflessione. Peccato che quasi nessuno degli ammiratori della Tetralogia abbia letto La frantumaglia. Lì c’è un passaggio pregnante. La protagonista e la sorella minore sono mandate dalla madre non lontano da casa a fare una commissione. Scoppia un temporale.

E d’improvviso la pioggia le disorienta e allo stesso tempo eccita l’immaginazione spaziale della maggiore. Andiamo oltre le nostre consuete colonne d’Ercole, dice alla minore che prova a trattenerla, ricordandole gli ammonimenti della madre. E finisce che superano il Museo Nazionale e vanno verso via Foria e vi si inoltrano, mentre la pioggia batte sulle loro nuche.

E fu così – ecco che arriva il commento dell’autrice – che scoprii sia il perdersi sia il governo del perdersi. Credo sia un nucleo generatore de L’amica geniale. Ed è una scena che prima o poi vedremo in un documentario o in film o in una serie.

Per il momento è Ferrante Fever.
 
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