Elena Ferrante amica necessaria ne «I margini e il dettato»

Elena Ferrante amica necessaria ne «I margini e il dettato»
di Titti Marrone
Venerdì 19 Novembre 2021, 10:47
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Fa uno strano effetto leggere I margini e il dettato, l'ultimo libro a firma Elena Ferrante appena uscito (e/o, pagine 154, euro 15). Le tre Conversazioni sul piacere di leggere e scrivere che lo compongono, con un breve testo di critica dantesca, provocano straniamento e familiarità. Lo straniamento è simile a quello provato se si ascolta una voce al telefono senza sapere a chi appartenga, e si vorrebbe chiedere «chi parla?». La familiarità deriva dal senso di condivisione con quanto viene raccontato dall'ignota voce. Che è potente, reclama attenzione, dice molto di sé proprio mentre si nasconde, e insieme ci parla di noi, come succede nei romanzi. E ci cattura nel gioco dell'anonimato mentre ci porta a chiederci se non sarebbe tempo di uscire dalla finzione della scrittrice senza volto.

Ma poi, a svelarsi è un volto ben connotato, con un escamotage espressivo che riproduce di continuo il tema del doppio, centrale in tutta l'opera ferrantiana. Si tratta del volto, e della voce, di una donna presentata, nella prima conversazione, bambina tra i 6 e i 10 anni già smaniosa di scrivere.

Alle elementari, però, mettere la penna in pagina impone l'obbligo del margine, definito dalle righe nere che corrono in orizzontale sul quaderno e dalle verticali rosse poste ai lati. La bambina s'industria a stare nei margini, dentro la regola. Subito dopo, però, s'impone la sensazione di «sciupio, perdita per esserci riuscita», di aver soffocato la parte migliore, quella che butta all'aria le regole e inventa un mondo fuori dai canoni del già noto: ancora uno sdoppiamento, un gioco di contrasti. Ferrante afferma che sia alla base della sua scrittura, articolata in due modalità, «la prima acquiescente, la seconda impetuosa». E identifica quella che sta nei margini con la scrittura maschile, quella che li rompe, ma a fatica, come la femminile. È un sonetto di Gaspara Stampa ad attivare il coraggio di osare. Ma le «due scritture» permangono a «disporre frammenti in un incastro e aspettare di scombinarlo».

Nella seconda conversazione, la bambina diventata diciassettenne fa i conti con il realismo di Diderot («dì la cosa com'è»), ne verifica l'impossibilità, approda a una «prima persona femminile tutta scrittura» che rinuncia ad allineare il reale in margini narrativi precostituiti e mischia «generi diversi, tecniche diverse senza marcare un confine tra alto e basso». Siamo agli «io» narranti dell'Amore molesto (Delia), dei Giorni dell'abbandono (Olga), della Figlia oscura (Leda). Dove la gabbia ordinata del margine (e del maschile) viene disarticolata con il passato che irrompe nel presente, i ruoli e i corpi madre-figlia sovrapposti e confusi, in un approdo a un canone di scrittura femminile che comincia a liberarsi. Qui Ferrante afferma anche di aver considerato La figlia oscura il suo libro conclusivo, fino alla rilettura di Adriana Cavarero in cui un'espressione, «l'altra necessaria», e le amiche Emilia e Amalia le suggeriscono le enormi potenzialità narrative del dialogo tra donne. Sarebbe questa la sollecitazione fondamentale per L'amica geniale, dove Lenuccia incarna la scrittura diligente, Lila quella smarginata, la genesi della quadrilogia che, in origine, doveva chiamarsi L'amica necessaria.

I «debiti» letterari indicati da Ferrante non finiscono qui: nella conversazione Storie, Io, si allineano i nomi Gertrude Stein, Emily Dickinson, Ingeborg Bachmann che Anita Raja conosce bene. Tutte portano a una scoperta: «Il mio io fatto di scrittura ha macinato dai sei anni in poi in massima parte la scrittura maschile ritenendola universale ha dovuto introiettare che le spettava le era consona una scrittura di donne fatta per donne, di per sé minore proprio in quanto scarsamente frequentata da maschi». Per concludere che la scrittura delle donne deve «imparare a usare con libertà la gabbia dentro cui siamo chiuse». E che a questo scopo «dobbiamo confondere, fondere i nostri talenti», per superare la «lingua cattiva» che da secoli elide il mondo del femminile. Insomma, un galvanizzante manifesto sul canone femminile in letteratura che chiama a raccolta tutte le donne di penna. Possibile che a immaginarlo sia stata una mente maschile?
 

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