Elena Ferrante, il nuovo libro: «Quando scrivo, nemmeno io so chi sono»

Elena Ferrante, il nuovo libro: «Quando scrivo, nemmeno io so chi sono»
Elena Ferrante, il nuovo libro: «Quando scrivo, nemmeno io so chi sono»
di Riccardo De Palo
Domenica 14 Novembre 2021, 15:03 - Ultimo agg. 19 Luglio, 15:13
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«Quando scrivo, nemmeno io so chi sono». Sembra di sentire la voce (fantasma) di Elena Ferrante, leggendo i saggi che compongono il suo ultimo libro, I margini e il dettato: quattro testi dedicati, in vario modo, all’avventura dello scrivere; e che rappresentano uno straordinario viaggio nella costruzione dei suoi capolavori. I primi tre saggi sono stati pensati proprio per essere letti, in forma di lectio magistralis, e saranno al centro di La scrittura smarginata, un evento inserito nel ciclo delle Umberto Eco Lectures - le lezioni che lo stesso autore de Il nome della rosa vent’anni fa decise di proporre all’Università e alla città.

L'evento a Bologna

Il 17 novembre (data di pubblicazione del libro edito da e\o), il 18 e il 19, presso il Teatro Arena del Sole di Bologna, sarà l’attrice Manuela Mandracchia a tentare l’impossibile: riempire un vuoto, dare voce (e corpo) a Elena Ferrante, scrittrice dall’identità ignota per definizione.

Ogni giorno, alle 20,30 verrà letto uno dei testi, a cominciare da La pena e la penna, e quindi Acquamarina e Storie, io (gli eventi si potranno seguire anche in diretta streaming via YouTube e Facebook). L’ultimo dei saggi inclusi in questa pubblicazione - che abbiamo letto in anteprima - è dedicato a Dante: era stato preparato per un convegno di italianisti.

«L’atto di scrivere è un puro tentare la sorte», confessa l’autrice de L’amica geniale, riprendendo le mosse da uno dei miti della letteratura al femminile, Virginia Woolf. Ma Elena Ferrante parte da molto più lontano, dalle prime parole scritte da bambina, in un quaderno delle elementari. Tra quelle linee orizzontali, e le righe rosse verticali a delimitare lo spazio consentito - «quelle righe sono state la mia croce» - si celava la via stretta che delimitava la possibilità di un elogio o di una punizione. Scrivere, spiega Ferrante, è possedere un senso del limite, ma anche poterlo varcare. L’autrice da subito si pone dei limiti inconsci, ma i modelli che le vengono imposti - quelli della scrittura dominante, maschile - le vanno stretti. Ferrante cita la percezione della donna «abietta e vile», come in una poesia di Gaspara Stampa; ma con il tempo supera i limiti della «scrittura ben calibrata, tranquilla e acquiescente». Perdura, «sotto il bisogno d’ordine», un’energia «che vuole inceppare, disordinare, deludere, sbagliare, fallire, sporcare». L’autrice misteriosa segue ostinatamente la sua strada e in questi saggi - scritti con il tono dimesso e il periodare dolente che caratterizzano anche i suoi romanzi - cerca di spiegare come ha fatto a darsi una direzione, a scrivere i suoi capolavori, sempre divisa tra scrittura «diligente» e «smarginata».

 

I primi tentativi di Elena Ferrante

Presa da forze contrastanti, Ferrante racconta i suoi primi tentativi, l’attrazione per il genere fantastico, per le avanguardie, passando attraverso Tristram Shandy e Jacques il fatalista (rispettivamente di Laurence Sterne e Denis Diderot); poi, pian piano, prende forma il «gioco illusionistico» della narrazione che l’ha resa famosa. Un eccesso (fortunato) di sensibilità porta l’autrice a essere continuamente consapevole dei limiti del mezzo, la scrittura, e assieme anche della sua potenza. «L’amore molesto è questo: Delia, chiusa nei tratti della donna colta, dura, autonoma, si muove con algida determinazione dentro le regole fisse di una piccola vicenda “gialla”, finché tutto – il genere “giallo” stesso – comincia a disgregarsi».

Arrivano personaggi memorabili, Delia appunto, ma anche la Olga de I giorni dell’abbandono e Leda de La figlia oscura: «Sono la loro autobiografia come loro sono la mia». Ferrante si convince anche a un certo punto che La figlia oscura sia l’ultimo libro, quello definitivo; ma poi trova ancora molto da raccontare. La lettura della filosofa Adriana Cavarero la convince a cambiare prospettiva, in particolare per quanto riguarda il «carattere narrativo delle amicizie femminili»; e l’Autobiografia di Alice B. Toklas di Gertrude Stein si rivela fondamentale. Ferrante comincia a lavorare a una sorta di «alterità necessaria», che pone le basi delle protagoniste de L’amica geniale, Lenù e Lila. In fondo, «la “vera vita vera”, come la chiamava Dostoevskij, è un’ossessione, un cruccio di chi scrive». E arrivare a scardinare totalmente le regole, far coincidere la biografia con l’autobiografia, diventa l’obiettivo finale: «Non un rigo va perso nel vento».

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