Emiliano Morreale, L'ultima innocenza: biografie, anzi quasi film

Storie di persone quasi sconosciute ai più, ma che hanno tutte trafficato ai bordi o al centro dell'universo cinema

Emiliano Morreale
Emiliano Morreale
di Santa Di Salvo
Venerdì 10 Marzo 2023, 11:00
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Non a tutti interessano le vite di uomini (e donne) non illustri. Nel catalogo infinito delle possibili biografie virtuali, un'esperienza quasi mistica che solo un genio come Borges saprebbe raccontare, c'è una sezione particolarmente affascinante. Quella che riguarda uomini e donne che hanno amato e praticato la magnifica ossessione che si chiama cinema. «Magnifica ossessione», 1954, regia di Douglas Sirk, interpreti Rock Hudson e Jane Wyman. Giusto perché la citazione non risulti a caso, vi informiamo che c'è una foto dei due protagonisti in copertina nel libro di Emiliano MorrealeL'ultima innocenza», Sellerio, 220 pagine, 16 euro).

Giornalista, saggista, critico cinematografico e ora narratore di storie improbabili e scandalose, avvincenti e inverosimili, dannate e catartiche.

Storie di persone quasi sconosciute ai più, ma che hanno tutte trafficato ai bordi o al centro di quell'universo, dagli anni del muto all'epoca d'oro hollywoodiana a Franco e Ciccio e ai porno di serie B e C. Lungo pagine ammiccanti e commoventi si aggira come un'ombra l'autore, siciliano di Bagheria, cresciuto a cinemini di periferia in stile Tornatore, con programmazioni suicide e vocazione alle rassegne tematiche per cinefili incalliti. 

Questo è il clima in cui nasce la passione per il grande schermo e per le figure e figurine che vi girano intorno. Una vera raccolta di biografie minori nata ai tempi del Covid e maturata fino a diventare un romanzo singolare e coinvolgente. Prima fra tutte la storia di Giuseppe Greco, figlio degenere del padrino Michele Greco detto «il papa», che per anni si trastullò con la regia cinematografica tenendosi lontano degli affari di famiglia. Così, mentre esplode la guerra di mafia agli inizi degli anni Ottanta, il figlio deviante di Cosa Nostra si lancia nella commedia sexy e produce, sceneggia e interpreta «Crema, cioccolato e paprika», film dimenticabile come il suo ultimo sforzo artistico, «I Grimaldi», parafrasi paranoica della sua storia familiare. Attento a captare ogni brusio di mille vite sottotraccia, Morreale s'imbatte anche in quella di Michal Waszynski, regista ebreo polacco autore del «Dybbuk», una pellicola che evoca la storia millenaria del suo popolo e che finisce dimenticata. Non come il suo autore, che s'inventò un nuovo passato, si finse nobile ariano in esilio e trascorse il resto della sua vita da principe e viveur della Hollywood sul Tevere, un'ombra della storia del cinema che vagava di notte per le strade di Roma in Rolls Royce, autore peraltro del grande tonfo cinematografico del decennio, il peplum «La caduta dell'Impero Romano». Sempre rovistando tra le vite degli altri, Morreale incrocia quella di Detlef Sierck, colui che in America divenne Douglas Sirk. Regista di capolavori mélo e padre di Klaus, la cui bellezza ariana verrà esaltata nei film di regime come simbolo della gioventù hitleriana. Nell'incredibile intreccio di destini che pare la trama di uno dei suoi film, Sirk si ritrova coinvolto in vicende che lo legano al regista Veit Harlan, cantore del Reich e autore dell'ignobile pellicola antisemita «Suss l'ebreo» ordinatogli da Goebbels. A sua volta padre di Thomas Arlan, che per storica nemesi fu uomo di estrema sinistra e implacabile cacciatore di nazisti. In questo itinerario sentimentale che s'intreccia continuamente con la biografia del suo autore c'è posto per un cameo dedicato ad Alberto Grifi, cineasta sperimentale e autore del cult movie «Anna». E per il singolare ritratto di un maniaco dei film porno che finisce per diventarne anche lo storiografo. 

Si chiude in bellezza con una starlette del cinema muto, Dorothy Gibson, sopravvissuta al naufragio del Titanic e frequentatrice del bel mondo tra le due guerre, probabile pedina di una rete di spie in Italia, finita in carcere a San Vittore dove incontra il giovanissimo Mike Bongiorno e da cui fugge con Indro Montanelli.

Sono biografie storiche con divieto di invenzione, avverte Morreale a fine libro citando fonti e riferimenti. Ma è stato lui a ricrearle, regalando loro corpo e vita, infondendo negli aridi dati anagrafici l'energia di un racconto commosso e partecipe. E tutto grazie a quell'emozione infantile, a quel felice smarrimento che forse ricordiamo e ancora ci appartiene, appena varcata la soglia di una sala buia illuminata da un grande schermo. 

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