Flaubert e il suo taccuino epistolare da vero sporcaccione

Flaubert e il suo taccuino epistolare da vero sporcaccione
di Ugo Cundari
Sabato 21 Agosto 2021, 08:09 - Ultimo agg. 22 Agosto, 09:38
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Nel 1849 un Flaubert ventottenne e assatanato parte per l'Egitto per un viaggio di nove mesi all'insegna del sesso. Delle sue avventure sordide parlerà senza troppi giri di parole nelle Lettere dall'Egitto ora raccolte per la prima volta in edizione critica e completa per la Humboldt Books (pagine 150, euro 24), con introduzione del neopremio Strega Emanuele Trevi e la traduzione senza censure di Elena Baggi Regard che, quando ci vuole, usa parole spinte, che fanno pensare al Taccuino di un vecchio sporcaccione di Bukowski. Non mancano le descrizioni del Nilo «fiume d'acciaio», dei coccodrilli, dei santoni, delle usanze a tavola dove «bisogna ruttare dopo il pasto. Me la cavo male. In compenso scoreggio molto e ancor più faccio loffe», ma fanno da cornice ai racconti di pornoprodezze comunicate per lo più al suo vecchio amico, Louis Bouilhet.

A lui, ad esempio, confessa che al suo ritorno vorrebbe scrivere una storia su Micerino, «quel re che chiava la figlia» ma poi il progetto svanisce, troppe distrazioni, inutile dire di che tipo: «Siamo in un paese dove le donne sono nude, per tutto abbigliamento non hanno che degli anelli. Ho chiavato delle ragazze nubiane che avevano delle collane di piastre d'oro che scendevano fino alle cosce, e portavano sul ventre nero delle cinte di perle colorate. Divento un porco. Lo sento profondamente. Se il cervello si abbassa, il cazzo si rialza».

Flaubert viaggia su una imbarcazione dove un marinaio musulmano, quando i monaci copti si gettano in acqua per chiedere l'elemosina, «li prende in giro mettendo in scena un balletto in cui tenta di incularsi da solo». Dopo qualche giorno arriva a Esneh a cospetto di una cortigiana famosa: «Tra l'alba e il tramonto mi sono fatto 5 scopate e 3 pompini. Lo dico senza albagia né circonlocuzioni. E aggiungo che mi ha fatto piacere». E gli fa piacere l'alternanza delle danzatrici, delle cantatrici a pagamento, qui dette «almea», «che vuol dire sapiente, intellettualoide. Come dire puttana, il che prova che in tutti i paesi le donne di lettere!!!...».

Una volta sola lo scrittore torna poeta sognante e rinuncia ai piaceri carnali, gli capita in un paesino dove le donne, bellissime, con denti splendenti e occhi magnetici, cercano di adescarlo mentre tutt'intorno si diffonde un profumo di spezie: «Ho passeggiato e passeggiato ancora.

Ebbene! non ho chiavato, apposta, per partito preso, per conservare la malinconia di questo quadro e far sì che restasse in me più profondamente. Così me ne sono andato con un grande stordimento, che ho conservato. Non c'è niente di più bello di quelle donne che ti chiamano. Se avessi chiavato, un'altra immagine sarebbe venuta a sovrapporsi a quella e ne avrebbe attenuato lo splendore».

Quando scrive alla madre diventa però un angioletto, mette da parte come tanti la realtà e la sua natura da erotomane: «È la sera prima di addormentarmi che penso tanto a te; e tutte le mattine quando mi sveglio tu sei la prima cosa che mi venga alla mente». Con lei, invece di approfittarne, si mostra turbato dal destino delle schiave, vendute e comprate per pochi spiccioli. Si descrive come una povera anima innocente, altro non fa «che contemplare la natura, fumare narghilè e passeggiare al sole, e ingrassare».
La redenzione dura lo spazio di un paio di paginette, poi appena torna a scrivere agli amici la musica è la solita, arricchendosi della descrizione dei luoghi più osceni dove ha consumato i suoi piaceri, come una «capanna così bassa che bisognava strisciare per entrarci», o «su una stuoia da dove se ne è appena andata una covata di gatti».

Ma la girandola di coiti non giova alla sua ispirazione, dopo un paio di mesi Flaubert ammette di essere rimasto «senza piani, senza idee, senza progetti, e, quel che c'è di peggio, senza ambizione per alcunché. Provo profondo disgusto all'idea di darmi da fare per far parlare di me. Non mi sento la forza fisica di pubblicare, di andare dallo stampatore, di scegliere la carta, di correggere le bozze, ecc. Tanto vale lavorare per se stessi. Si fa come si vuole e, secondo le proprie idee, ci si ammira, si è graditi a se stessi, e non è questa la cosa principale? E poi il pubblico è così stupido! E poi chi è che legge? E che cosa si legge? E che cosa si ammira!».

Sei anni dopo Flaubert scriverà il suo capolavoro Madame Bovary per il quale sarà incriminato per «oltraggio contro la morale pubblica e religiosa e contro il buon costume» per aver scritto con parole misurate di un banale adulterio.
 

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