«Rosi, un maestro generoso con i giovani»

«Rosi, un maestro generoso con i giovani»
di Diego Del Pozzo
Sabato 19 Novembre 2022, 09:46
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L'attualità del cinema di Francesco Rosi, il suo rigoroso senso etico e civile, la capacità di indagare la realtà con una padronanza rara del linguaggio cinematografico, la pienezza di un essere umano irrefrenabile e sempre curioso del mondo e della vita: di questi e altri temi s'è discusso ieri mattina a Napoli nel corso della giornata di studio sul grande regista tenutasi nell'aula Pessina della sede centrale della Federico II come momento culminante delle celebrazioni del centenario dell'autore di «Le mani sulla città».

Organizzata dalla Regione Campania e dalla Film Commission assieme all'Accademia di Belle Arti e alla Federico II e in collaborazione col Museo nazionale del cinema di Torino, la densa mattinata come il resto delle iniziative campane di questi giorni ha avuto quale pubblico privilegiato gli studenti di cinema di Accademia e università, cosa che avrebbe fatto felice lo stesso Rosi. Introdotta dalla docente di cinema Anna Masecchia, dalla presidente della Film Commission campana Titta Fiore e dalla figlia del regista, Carolina Rosi, la mattinata ha visto come protagonisti tre registi che con Rosi hanno intrattenuto un rapporto privilegiato: in collegamento video Mario Martone e Roberto Andò, presente nella sala gremita Giuseppe Tornatore, al quale peraltro si deve il fondamentale libro-intervista del 2012 Io lo chiamo cinematografo.

Tornatore ha scritto anche la prefazione al volume appena pubblicato da La nave di Teseo, a cura di Maria Procino, Diari.

Da Salvatore Giuliano a Carmen: il cinema della ragione (1961-1984) (238 pagine, 19 euro), che raccoglie scritti inediti, appunti, schizzi provenienti dall'archivio di Rosi. Il volume è stato presentato dalla curatrice, con interventi di Gina Annunziata, Luigi Barletta, Valerio Caprara, Lorenzo Codelli, Marcello Garofalo, Mauro Genovese, Pasquale Iaccio del direttore del carcere minorile di Nisida, Gianluca Guida.

«Il mio rapporto con Franco», ha esordito Tornatore, «nasce prima come spettatore. Il suo primo film che ho visto è stato Salvatore Giuliano da ragazzino e ne fui conquistato. Poi, ci siamo conosciuti a inizio anni 80, quando lo intervistai a Palermo. Fu gentilissimo e da lì nacque il nostro rapporto, poi diventato una bella amicizia, tanto da produrre anche quel fortunato libro-conversazione al quale lui era molto legato. Quando ho letto questa nuova raccolta dei suoi diari, invece, sono rimasto colpito dalla forma di quegli appunti, che Franco scriveva con la stessa cura dedicata ai film, soppesando le parole una per una, come se già avesse saputo che poi sarebbero stati letti. Anche in questi diari, si conferma una figura netta, precisa, chiara, proprio come i suoi film». Poi, Tornatore s'è soffermato sul rapporto tra Rosi e i giovani: «È sempre stato molto forte, anche in virtù del rapporto che a sua volta aveva avuto con i suoi maestri, in primis Visconti. Era generoso nel tramandare ai più giovani ed era anche molto attento alle loro opere. Ma, in generale, Franco aveva la rara attenzione di telefonare ai propri colleghi, sconosciuti alle prime armi o maestri come Clint Eastwood, per manifestargli direttamente il suo entusiasmo dopo aver visto un loro film. Lo faceva sempre, perché lui sapeva bene quanto fosse duro girare un film, tanto duro da farti perdere un pezzo della salute e della propria vita».

Per Mario Martone, invece, «ciò che rende unico il cinema di Rosi è la tensione verso la realtà, che per me lo apparenta a Eduardo De Filippo pur nelle loro diversità. Franco ha sempre pensato a un cinema aperto sulla vita e sul mondo, dai quali lasciarsi permeare per poter poi incidere su questa stessa realtà. In tal senso, mi sembra indicativo che, negli anni finali della sua vita, Rosi si sia imbattuto nel teatro di Eduardo e lo abbia messo in scena con Luca De Filippo». Da parte sua, Roberto Andò ha aggiunto: «Franco era un combattente. Ogni mattina, chiamava noi amici e ci raccontava la lotta titanica con le sue idee. Non è mai stato uno che voleva ritirarsi. Anzi, nell'ultimo periodo è stato sempre impegnato con tanti progetti di film da fare. Lui scriveva continuamente, prendeva appunti, fissava tutto sui taccuini che portava ovunque con sé. Il suo», ha concluso il regista palermitano che in questi giorni è ai vertici del box office italiano col nuovo film «La stranezza», era un metodo rigoroso dal quale emergeva di continuo il forte interesse per la realtà, con la quale, infatti, ha intrattenuto un continuo dialogo etico-politico e morale».
 

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