Gianni Minà, i suoi amici e Napoli: una storia d'amore e poesia

Il giornalista scomparso e il suo legame con la città

Gianni Minà e Diego Armando Maradona
Gianni Minà e Diego Armando Maradona
di Luciano Giannini
Mercoledì 29 Marzo 2023, 08:38
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Massimo Troisi, scherzando, gli invidiava l'agendina telefonica, «perché Gianni Minà, alla F, tiene scritto Fidel, senza nemmeno il cognome. E quando telefona a casa di Cassius Clay, non gli attaccano il telefono in faccia, no, ma gli risponde proprio lui: "Hay, Gianni, how are you?"».

Maradona gli voleva bene e lo rispettava perché, a sua volta, si sentiva rispettato. E gli voleva bene Napoli. Tanto da conferirgli, l'8 giugno 2019, la cittadinanza onoraria, officiante l'allora sindaco De Magistris. In quel pomeriggio, sia per la biologica disinvoltura dei partenopei, sia per l'epica confidenziale, che era squisito tratto personale del giornalista, la sala dei Baroni, al Maschio Angioino, ospitò uno show più che una cerimonia pubblica. Gianni stravolse protocollo e scaletta, si lasciò trasportare dai ricordi, invitò «la grandiosa Lina Sastri» a intonare «Napule è» e «Reginella», per poi concludere: «Sentirsi napoletano significa sapere che ci sarà sempre qualcuno pronto a dimostrarti la propria solidarietà».

Sì, Napoli e Minà hanno intessuto un lungo, duraturo rapporto d'amore, costruito sulla comprensione che il giornalista aveva della città obliqua; no, meglio scrivere «intuizione», perché Napoli si può intuire, non capire.

E lo si arguisce da svariate sue dichiarazioni: «Sono nato a Torino, ma mi sento davvero a casa a Roma e a Napoli»; «mi piace perché è la città più sudamericana del mondo, ha il coraggio di sperimentare, anche se sente che le cose rischiano di non finire come spera»; «Napoli è Napoli. Giudicarla si può, ma bisogna avere una certa sensibilità, perché, se ne parli male, lei ti mangia»; «ed è vera, anche quando è brutale, città di mare fatta a brandelli dalla Storia e dalla politica, ma abitata da un popolo che ha sulle spalle cultura e antiche tradizioni. Parlare con la sua gente è una esperienza unica, perché ti resta addosso sempre qualcosa di prezioso, anche se il confronto è stato acceso fino al litigio».

E Napoli ha portato con sé nei propri percorsi di vita, nei programmi tv. Oggi basta sfogliare Youtube per averne conto: «Blitz», con Lina Sastri e il maestro Eduardo, che spiega: «La Sastri è brava, ma lei non sapeva di esserlo. Ecco, io gliel'ho fatto sapere»; «Alta classe», nel '92, fra Troisi e Pino Daniele, al suo primo ritorno in scena dopo l'operazione, con dedica di «Quando» all'amico Massimo; lo scoop della diretta da casa di Eduardo; la festa per il primo scudetto, dall'auditorium Rai di Fuorigrotta; «Storie», ancora con Pino e Luca De Filippo, entrambi riservati e schivi, che confidano: «Abbiamo sofferto la nostra napoletanità»; la puntata con Rosi, Patroni Griffi, Ghirelli e La Capria. Breve digressione: tutti oggi si inchinano alle sue virtù, anche chi nel 97, nonostante l'eccellenza di ospiti e contenuti, relegò quel programma a notte fonda, tanto da spingere 16 intellettuali del tempo a inviare una lettera di protesta all'allora presidente Rai Enzo Siciliano. La puntata con gli ex liceali napoletani terminò alle 2.45 del mattino, eppure guadagnò il 9 per cento di share. Parentesi chiusa.

Infine, Maradona: il loro rapporto dovrebbe essere insegnato nelle scuole di giornalismo. Anche qui ci soccorrono le frasi di Gianni: «Un retaggio che mi lascia il mio mestiere? Dire la verità»; «spesso il giornalista si vende l'anima, colpa della comunicazione moderna, che impone l'ascolto e tradisce il legame tra gli interlocutori. Sono riuscito a fare scoop solo rispettando chi ho di fronte». Sì, Minà rispettava Maradona. Nell'epilogo della sua avventura napoletana, avrebbe potuto rivelare dettagli e retroscena assai succulenti per ammalati di gossip e tifo sportivo, ma non lo fece. Perché? «Con Diego sono stato sempre molto franco. Io rispettavo il campione, ma anche l'uomo, sul quale sapevo di non avere alcun diritto, solo perché lui era un personaggio pubblico e io un giornalista. Perciò, penso che lui abbia sempre rispettato anche i miei diritti e la mia esigenza, a volte, di proporgli domande scabrose»; e ancora: «prima che giornalista sono un essere umano». El pibe lo capì, donandogli esclusive mondiali e confidenze, che ora sono con lui nella tomba.

A proposito: i funerali saranno in forma privata, per esplicita volontà di Gianni, ma chi vorrà potrà rendergli omaggio oggi, dalle 10 alle 19, nella camera ardente al Campidoglio. Mentre la Fondazione Gianni Minà, da lui voluta, preserverà l'archivio, oltre 100 ore di materiali inediti inclusi, e annuncia per maggio una mostra e un libro.

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