Napoli, fenomeno Himorta: «Ma infermieri e medici sono i veri supereroi»

Napoli, fenomeno Himorta: «Ma infermieri e medici sono i veri supereroi»
di Francesca Scognamiglio
Domenica 28 Marzo 2021, 11:37
4 Minuti di Lettura

Da cosplayer a eroina. Himorta, alias Antonella Arpa, 30 anni, donna in costume da oltre 1 milione di follower, diventa un fumetto: sarà disponibile da martedì, 30 marzo, in tutte le librerie La carta del fuoco. In uscita per Mondadori Electa, il fumetto nasce da un'idea della protagonista stessa e si avvale delle illustrazioni di Stefania Macera in arte Chocoartist. Himorta, salernitana di Castel San Giorgio, è una cosplayer: veste sui social e in tv i panni di oltre 200 personaggi tra videogame, manga, serie tv, cartoni animati e personaggi cinematografici e dei fumetti. Dal 2016 è anche protagonista del programma «Avanti un altro», in onda su Canale 5, dove interroga i concorrenti proprio sul mondo fumettistico.


In «La carta del fuoco» c'è la sua storia ma anche un tocco di magia: un intreccio tra mondo reale e fantasy?
«I fumetti sono sempre stati la mia grande passione, sono cresciuta leggendo Topolino e mi sono appassionata ai supereroi, e quando Mondadori ha bussato alla mia porta non mi sono lasciata sfuggire l'occasione. La carta del fuoco racconta la mia storia, e l'ho scritta io stessa, narra di una influencer che riceve dei doni dai suoi fan e tra questi pacchi vi è questa carta che le trasmetterà dei superpoteri. La storia ruota intorno alla figura misteriosa di questo fan e a tutti i miei poteri e a quello contro cui andrò a combattere. Si scoprirà (piccolo spoiler) che ci sono più carte in questo mondo ma non tutte finiscono in buone mani».


Nel fumetto lei lotta per il bene dell'umanità. Ma nella realtà esistono supereroi?
«Sicuramente esistono degli eroi: i medici e gli infermieri in lotta contro il coronavirus che, al posto di un costume colorato, indossano un camice bianco».


Come nasce il nome Himorta?
«Avevo un blog su un manga molto famoso, Naruto, dove c'è il personaggio di Hinata Hyuga. Hinata? Io sono diventata Himorta».


Lei è nella top 30 degli influencer italiani. Ma quanto deve questo suo successo alla sua bellezza, al suo sex appeal?
«L'aspetto fisico conta ma non è tutto.

Credo che l'ingrediente principale del mio successo sia l'interattività. Io dialogo moltissimo con il mio pubblico e mi sento amica di chi mi segue».


Nella sua galleria fotografica si evince una passione per il Napoli. È tifosa?
«Il Napoli mi ha fatto innamorare del calcio. La passione è nata quando a Napoli giocava Gonzalo Higuain di cui ero ammiratrice e, seguendo lui, ho iniziato a seguire la squadra. È stato un grande dispiacere quando è andato via. Andavo spesso allo stadio, quando si poteva, e continuo tutt'ora a seguire le partite, credo che per i napoletani e le napoletane il tifo azzurro è un po' sentimento e un po' aspetto culturale».


Tra le foto c'è anche un omaggio a Maradona.
«Sono stata molto male quando Diego è morto. Mi diedero la notizia mentre mi trovavo negli studi di Avanti un altro, mi sentii persa. Lui era per tutti noi come una persona di famiglia, non solo il campione dei campioni».


La pandemia ha fermato, tra le altre cose, anche i raduni di cosplayer nel mondo. Come vi siete organizzati?
«Ci siamo spostati in rete e tutto avviene in digitale. Ci sono i costumi, le foto e il trucco ma manca moltissimo la condivisione e il divertirsi insieme. Ricordo che all'ultimo evento che ebbe luogo alla Mostra d'Oltremare partecipai con una ciurma di pirati mentre adesso sono una piratessa sola in studio con un fotografo».


Tra i suoi tanti follower, ci sono anche hater? Come risponde ai leoni da tastiera?
«Quando ho iniziato gli hater erano numerosi e crudeli, ricordo di aver sofferto molto. Ci sono stati giorni in cui ho pianto: le parole possono fare molto male. Adesso non ho più odiatori tra i miei fan, tendono a colpire soprattutto all'inizio della popolarità. Credo sia necessario intervenire seriamente per regolamentare il web, la cronaca ci narra di casi di cyberbullismo molto gravi che possono anche indurre le vittime a gesti estremi. Servirebbe anche una vera educazione informatica nelle scuole».

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