Ildefonso Falcones e la schiava della libertà: «Le mie ragazze senza paura nel nome della libertà»

Il sesto romanzo dello scrittore spagnolo unisce passato e presente

Ildefonso Falcones
Ildefonso Falcones
di Francesco Mannoni
Sabato 10 Dicembre 2022, 12:00
4 Minuti di Lettura

È un'opera che unisce passato e presente Schiava della libertà (Longanesi, pagine 601, euro 24), sesto romanzo dello spagnolo Ildefonso Falcones, autore del best-seller mondiale La cattedrale del mare.

Siamo nel 1856 a Cuba dove sbarca Kaweka, una yoruba di undici anni originaria della Guinea. Sarà schiava, la schiena lacerata dalle frustate, violentata, data ad altri schiavi affinché possa procreare nuova carne da schiavizzare. Ma Kaweka è in grado di accogliere la divinità, di essere posseduta dalla dea Yemayá, capricciosa e volubile. Tutto questo farà di lei una «prescelta» a guidare le schiere nere, con il compagno Modesto, verso la conquista della libertà.

Madrid nei giorni nostri: una meticcia, figlia di una cameriera di colore che serve da sempre la famiglia del marchese Santadoma, padrone di una banca prestigiosa, fresca di studi varca il portone del palazzo della finanza decisa a farsi notare e a conquistare un posto di rilievo.

In lei, 160 anni dopo, sembra agiscano le stesse priorità coraggiose e impavide di Kaweka, il flusso di un'umanità non disponibile a nessun tipo di sopraffazione. Grazie alla santeria, il voodoo cubano innestato ora sincreticamente sulle figure della religione cattolica, riuscirà a conoscere inedite circostanze della sua famiglia d'origine. E l'impegno per la libertà sarà anche per lei priorità assoluta. 

Falcones, perché il titolo «Schiava della libertà»?
«Può sembrare un ossimoro, ma rappresenta lo spirito delle due donne protagoniste che lottano: la prima per la libertà del proprio popolo contro la schiavitù, la seconda 160 anni dopo contro il razzismo e la xenofobia».

Kaweka è una «prescelta», una guaritrice?
«E questo le assegna delle responsabilità nei confronti del suo popolo che ad un certo punto la inducono a rinunciare alla propria libertà per conquistarla per tutti. Anche Lita, quando accetta un certo ruolo all'interno della comunità nera, si fa carico di una responsabilità che ne cambia profondamente il modo di vivere».

In comune le due donne hanno storie di santeria?
«Kaweka e Lita conoscono le proprie origini attraverso una magia domestica (ma preferisco parlare di fede per non banalizzare l'argomento). Parliamo di persone che credono in una religione che ha migliaia di anni, con divinità e riti degni di rispetto come qualunque altro credo. Non è facile capire queste ritualità: se pensiamo alla Cuba di quel periodo, alla cultura nera, subito pensiamo a pratiche esoteriche, ma io ho preferito raccontare tutto ciò come se si trattasse delle ritualità del cristianesimo o dell'Islam, che meritano totale rispetto. Le credenze e le pratiche religiose sono il legame più stretto fra le due protagoniste, e sono ciò che aprono gli occhi a Lita sulle sue origini».

La schiavitù è una cosa d'altri tempi, ma ancora è praticata in molte parti del mondo.
«Penso che nelle società attuali non ci sia nulla di paragonabile alla schiavitù, concetto ai nostri giorni non più tollerabile. Ci sono delle piaghe terribili, a partire dal razzismo sino alla tratta delle bianche, ma la schiavitù era un'aberrazione suprema che abbiamo cancellato».

Per lei quanto è importante raccontare il ruolo degli oppressi?
«Diciamo che mostro situazioni che sono state riconosciute come ingiuste, ma spesso sono state dimenticate dalla Storia. E perciò scrivo romanzi con argomenti come l'avventura, la passione, la vendetta, il sesso, che dispongo all'interno di uno sfondo storico attraente per i lettori. Il motivo per cui certi fatti storici sono poco conosciuti? Quando una comunità non si sente orgogliosa del proprio passato spesso mancano studi approfonditi e, con essi, la denuncia di quanto accaduto». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA