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Isaia Sales e la storia delle camorre: «Non è mai stata così forte»

«Obama nel 2011 la collocò tra le quattro organizzazioni criminali più pericolose assieme ai narcos messicani, alla mafia russa e a quella giapponese. È ancora così»

Isaia Sales
Isaia Sales
di Ugo Cundari
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 2 Febbraio 2023, 12:00
4 Minuti di Lettura

Negli ultimi tempi la camorra della finzione ha oscurato quella vera, dalla faccia feroce, la corruzione facile e gli affari a gonfie vele. A svegliarci dal sonno della fiction generato dalla ipermediatizzazione di «Gomorra», che ha schiacciato verso il basso ogni riflessione sulla consistenza del Sistema, ci pensa Isaia Sales con il suo ultimo saggio Storia delle camorre (Rubbettino, pagine 456, euro 24) che si presenta domani alle 17 all'Istituto italiano per gli Studi filosofici in via Monte di Dio. Con l'autore ne parlano Rosa Volpe, Alessandro Giuliano, Luciano Brancaccio; modera Daniela De Crescenzo.

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Davvero abbiamo sottovalutato la potenza della nostra camorra, Sales?
«È stata raccontata male, come un fenomeno folcloristico, ed è stata sottovalutata dagli storici e dagli esperti che mai avrebbero immaginato cosa sarebbe diventata oggi: una holding con un giro d'affari di 3.750 milioni di euro. La ndrangheta arriva a 3.491 milioni, Cosa Nostra a 1.874. Dal 1992 al 2017 le ordinanze di custodia cautelare per il reato di 416 bis hanno colpito 3.100 camorristi, 400 in più del numero di ndranghetisti. In Campania esistono 180 clan di camorra, numero record in rapporto alle altre criminalità mafiose italiane».

Tra chi ignora il problema lei mette ai primi posti gli economisti?
«I signori che gestiscono tutti questi soldi sono capaci di condizionare ogni tipo di mercato e di fare pressioni, vincenti, su imprenditori di ogni settore. Continuiamo a ignorare che tra i napoletani più ricchi ci sono molti capi camorristi, che spendono i loro soldi qua e possono decidere la vita e la morte di ogni azienda in ogni ambito di commercio, dall'edilizia alla ristorazione».

Perché la camorra è la più potente delle organizzazioni criminali italiane?
«Ha un modello organizzativo vincente. La struttura più fluida e meno rigida di quella siciliana si è dimostrata capace di assorbire meglio la decapitazione dei vertici. L'assenza di un comando unico rende la camorra più adatta a resistere alla repressione e agli scontri interni, e più pronta a intercettare le opportunità che si presentano nel mondo degli affari e delle imprese. E poi la camorra è un sistema meritocratico».

Ci spiega meglio?
«A differenza della mafia e della ndrangheta dove c'è una criminalità d'élite e una criminalità bassa, nella camorra chi inizia come piccolo delinquente di strada può diventare capo di un impero. Un'altra caratteristica vincente della camorra è il radicamento molto forte nel territorio accompagnato a una internazionalizzazione globale. I camorristi restano abbarbicati ai loro quartieri, ai loro rioni, ai loro paesi e partecipano attivamente ad attività economiche in altri luoghi vicini e lontani».

Lei parla di una mentalità camorrista.
«Se la ndrangheta si basa sulla presenza di calabresi che riproducono fuori Calabria il modello delle ndrine, la camorra non propone un suo modello organizzativo né un modello di vita ma solo criminali in affari che si stanziano nei posti strategici della produzione e delle rotte del narcotraffico o in ogni luogo dove sia possibile fare investimenti e smerciare prodotti contraffatti, non seguendo necessariamente le rotte dell'emigrazione napoletana e campana. Se la ndrangheta esporta un modello criminale, la camorra esporta camorristi».

La camorra è presente in tutto il mondo?
«Obama nel 2011 la collocò tra le quattro organizzazioni criminali più pericolose assieme ai narcos messicani, alla mafia russa e a quella giapponese. È ancora così».

Come si sconfigge la camorra?
«Per prima cosa bisogna prendere atto del problema, e cioè che l'insieme della criminalità di tipo mafioso che definiamo camorra non è mai stata così forte come oggi, mai così stretti i rapporti con i circuiti politici ed economici legali. È impensabile che il secondo commercio mondiale più florido sia lasciato in mano delle mafie. Ad occuparsene devono essere organismi internazionali, impossibile chiederlo ai singoli Stati».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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