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L'arte della preistoria, Carole Fritz riunisce i saggi degli studiosi per raccontare la nostra storia

Esce un libro indispensabile che l'Einaudi ha fatto con gran cura

La cueva de las manos in Argentina
La cueva de las manos in Argentina
di Giuseppe Montesano
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 9 Dicembre 2022, 11:00
4 Minuti di Lettura

Appena lo guardi, l'essere ha naso e occhi che sembrano coperti da una maschera da sub o da pilota d'aereo, ha sulla testa una specie di aureola che forse è un tubo per l'ossigeno, non ha né braccia né gambe ma collegato alla testa-maschera ha un ovale vuoto, ed è sospinto dal basso in alto da una corona di raggi: e nonostante io non sia un pazzoide di quelli che credono ai viaggi di extraterrestri presso antiche civiltà, confesso che ho subito pensato a un astronauta guardando la pittura australiana del 3.000 avanti Cristo che sta sulla copertina di L'arte della preistoria, un libro curato da Carole Fritz con decine di specialisti e che «finalmente» Einaudi traduce e manda in libreria, con centinaia di splendide illustrazioni a colori e testi accurati e aggiornati ma godibili.

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Questo libro era uscito in francese nel 2017, e da dilettante appassionato lo avevo comprato con qualche dubbio, dubbi azzerati dopo pochi minuti: e dico beati quelli che ora leggeranno e guarderanno questa meraviglia, un libro indispensabile che l'Einaudi ha fatto con gran cura.

L'arte della preistoria spazza via l'idea che esistano solo Lascaux e Altamira, e squaderna davanti a chi lo apre il mondo intero: ma lo fa proprio partendo dalla Spagna del Levante, con la sua fioritura gigantesca di opere, e dalla Francia non di Lascaux, spostandosi poi verso Germania, Norvegia, Russia, Irlanda, Romania, Calabria, Lombardia, e poi tra Russia e Medio Oriente in Azerbaigian, e in Africa con Egitto, Libia, Algeria, Mali, Zimbabwe, Namibia, e poi in India, Cina e nelle steppe dell'Asia fino alla Mongolia, e in Brasile, Argentina, Perù, Bolivia, Cile, e in Texas e più su, in un giro dei continenti illuminante. Si rivelano così le somiglianze sorprendenti tra opere di culture e civiltà mondiali che tra il 48.000 e il 5.000 avanti Cristo non erano quasi collegate tra loro. Che gli uomini fossero più uguali nella preistoria che nel mondo globalizzato? Chissà! 

Capiamo così che lo sciamanesimo, poco presente tra Lascaux e Altamira, era diffuso nel mondo; che gli spiriti o anime dei morti erano viste o sognate da tutti; che le presenze non solo umane, ma animali e divine, avevano le stesse forme: che chi guarda L'arte della preistoria riconosce subito come familiari. Spesso hai la sensazione che questi artisti fossero felici, ma anche che chiedessero la felicità che sempre manca: come noi; spesso senti che non gli bastava eseguire scene rituali, ma volevano imprimere in esse il tocco «inutile» dell'arte; spesso provi una commozione acuta, ma è una commozione che ti spinge a pensare. Non si tratta solo di arte, ma di un diario dell'essere umano che ha trovato nell'ozio, che noi chiamiamo creativo ed è sempre legato alla sospensione dell'ansia del lavoro e della fatica, un tempo in cui la vita non è solo vissuta, ma è pensata e immaginata, e forse anche, viene da dire, parlata. Quindi potevano esserci lingue articolate e mediamente complesse, e non scritte, prima di ideogrammi, geroglifici e cuneiforme, cioè prima di massimo 6.000 anni fa? 

Guardi queste opere, fissi stupito il miracoloso flauto scavato nell'osso di avvoltoio dei Pirenei, contempli il perfetto cervo porcino trovato in Indonesia, sei colpito dalla scultura su dente di cavallo con volto lunare della Romania, ti frusciano e sorridono intorno gli animali multicolori dell'Africa australe, non puoi saziarti di fissare l'essenzialità elegante e possente di rinoceronti ed elefanti incisi in Libia: e ricordando che queste cose sono state fatte per la maggior parte dai 48.000 ai 10.000 anni prima di Cristo, sei spinto a pensare che le lingue parlate c'erano. Non scritte nelle grotte e sulle rocce? No, a parte una serie di segni molto prossimi ai segni cuneiformi e ideogrammatici. Ma perché solo parlate? Forse perché le immagini erano più potenti; o perché l'oralità non aveva bisogno di scrittura poiché era sorretta da memorie immensamente più forti delle nostre; o perché la lingua era considerata più divina e segreta dell'immagine, e c'erano tabù interiori ed esteriori sullo scriverla.

Ma quel flauto di ventimila anni fa scandiva solo danze? O accompagnava qualcuno che cantava non solo melismi, ma parole come in molte culture primitive ancora vive pochi decenni fa? Non lo sappiamo, ma abbiamo queste immagini-linguaggi che testimoniano di un mondo così vicino a noi da dare i brividi. Quando comincia la storia delle civiltà umane? Be', dopo libri come questo, si può solo dire: molto, ma molto prima di quanto pensassimo. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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