L’Italia è in lockdown da 30 anni: Edoardo Nesi e le anime perse delle partite Iva

Edoardo Nesi, Economia sentimentale, dettaglio della copertina.
Edoardo Nesi, Economia sentimentale, dettaglio della copertina.
di Cristian Fuschetto
Mercoledì 17 Marzo 2021, 18:00
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«Io sono questo. Questa sconfitta, questa rabbia e questo destino». Lo scrive al termine di una reprimenda alla mondializzazione e al liberismo immancabilmente selvaggio, attonito di fronte allo “svilupparsi tumorale” di un sistema economico insensato in cui i tassi di interesse sono sotto zero ma nessuno ha più il coraggio di investire, e in cui la ricchezza invece di “spargersi in mille rivoli” finisce per concentrarsi “nelle mani di pochissime teste di cazzo che governano l’incubo di un mercato planetario servito da filiere mostruose e immani, eppure, come si è visto, fragilissime”. Ce l’ha con chi inquina le nostre menti e i nostri cuori prima ancora che il pianeta, Edoardo Nesi, ma non c’è da credergli. Almeno non fino in fondo, perché queste parole sono appunto sputate dalla rabbia e dalla sconfitta, sono il corollario della frustrazione e non dell’analisi. Il che, a pensarci bene, in un libro dedicato all’“Economia sentimentale”, edito da La Nave di Teseo, non fa una piega.

L’Italia è in lockdown da decenni
Scritto al termine della prima ondata, la lettura del libro vale forse ancora di più adesso che di ondate ne abbiamo contate tre e non ci si stupirebbe di una quarta, ora che “siamo stati un modello” non vuol più dire buone cose, ora che al Governo dei Dpcm illustrati in diretta Facebook c’è un Governo silente che dell’economia ha il crisma, mentre del sentimento si vedrà. È uno sfogo quello di Nesi, che in pagine scritte come un diario si interroga su cosa succeda all’Italia del lockdown nell’intima e dannata consapevolezza che in lockdown l’Italia sia già da decenni. Erede del Lanificio T.O. Nesi & Figli Spa di Prato-Firenze, (l’azienda tessile della sua famiglia è stata ceduta nei primi anni 2000), Nesi è figlio non solo in senso metaforico di una parte significativa della borghesia produttiva che ha alimentato il boom economico italiano. In “Storia della mia gente”, Premio Strega 2011, Nesi ha raccontato non le storie ma le gesta di quella gente, che dal nulla ha dato vita a un comprensorio tessile in cui si sono trasformati “stracci in tessuti”, pezze in trame richieste per le più raffinate creazioni dagli stilisti di tutto il mondo. Nesi ne racconta la gloria degli anni ‘70 e ‘80 e poi la caduta degli anni ’90. Ecco, la polvere alzata dal tonfo di questa caduta è la cornice di “Economia sentimentale”, mentre le anime perse delle partite Iva, dei freelance, dei liberi professionisti e, ovviamente, dei piccoli imprenditori che ancora riescono a tenere alzate le serrande delle loro fabbriche, ne sono il cuore.

Figli della decadenza
«Il progresso dell’umanità, sosteneva il Carpini, era finito il giorno in cui quello stilista famosissimo gli aveva chiesto quanto costassero i suoi tessuti, non lo sconto, sia chiaro, ma solo il prezzo».

Il Carpini è suo suocero e Nesi racconta di come per almeno un decennio gli abbia urlato addosso che il mondo stava cambiando e non decadendo. «Ma come cazzo fai a non accorgetene, Edoardo?». «Non me ne accorgevo perché dentro la decadenza c’ero nato, io e tutti quelli della mia generazione, e in vita mia non avevo conosciuto altro». Le chiusure di questi mesi, la merce che si accumula nei magazzini, il vino che non si sa più in quali botti conservare, i ristori che non arrivano e quando arrivano si fa fatica a riconoscerli sotto quel nome, tutto questo si inserisce nella decadenza di un Paese che non sa più riconoscere questa gente, la forza, i sogni, le paure, le piccole ma solide ambizioni di chi costruisce benessere.

Elogio del rischio
Nesi fotografa un’Italia lontana da chi ha voglia di tornare a rischiare e il dubbio è che del rischio si sia persa proprio la nozione. La filosofa e psicanalista Anne Dufourmantelle in un libro tradotto di recente da Vita&Pensiero ha dedicato uno studio bellissimo all’“Elogio del rischio”, in cui illustra come il rischio sia l’altra faccia della capacità di decidere. Il rischio è un kairos, nel senso greco dell’“istante decisivo”, è il tempo giusto, l’occasione adatta per tornare a decidere. Il rischio non è azzardo, non è rassegnazione alla paura, anzi il suo contrario, è la lotta per non rimanere succubi della preoccupazione di proteggere tutto sempre e a ogni costo. Rischiare, spiega Dufourmantelle, significa prendere in mano la propria vita ed è il modo più autentico per non rimanere vittime di «tutte le forme della rinuncia, della depressione bianca».

L’illusione marcia che i soldi tanto ce li passerà lo Stato
Nesi ci dice che l’Italia è in questa depressione bianca e bastano i titoloni dei giornali per capirlo, non serve la filosofia. Si celebrano i soldi che l’Italia ha “strappato” all’Europa, i miliardi del Recovery sono stati portati in alto come un trofeo, e basta questo per dire tutto. È successo con i “ristori. «Tutto nuovo deficit, ovviamente, nuovo debito che un giorno toccherà ai nostri figli restituire, e non finisce certo nei consumi perché le italiane e gli italiani son diffidenti e impauriti, e questi soldi ottenuti dopo mille difficoltà e ritardi vengono incassati e subito messi da parte in attesa di tempi peggiori, come se invece di essere un sostegno emergenziale, la stampella del convalescente, quest’immane elargizione pubblica non fosse che una versione monstre del reddito di cittadinanza, e decretasse lo sdoganamento definitivo della quintessenza dell’idea che sta dietro a ogni elargizione pubblica, e cioè l’illusione marcia che si possa vivere senza lavorare perché tanto i soldi ce li passerà lo Stato».

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