La riscoperta di Marotta oltre «L'oro di Napoli»

La riscoperta di Marotta oltre «L'oro di Napoli»
di Massimo Novelli
Giovedì 21 Luglio 2022, 08:46
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«Tra i pochi, pochissimi libri buoni circolati nell'Italia del dopoguerra, ci sono quelli di Giuseppe Marotta, siano romanzi o raccolte di racconti. Purché siano di Marotta». Così Oreste del Buono scriveva nell'introduzione a una ripubblicazione nel 1974 di Mal di Galleria, uno dei libri di racconti più belli di Giuseppe Marotta (Napoli, 1902-1963). Il Mal di Galleria, come Le milanesi, declinava storie di quella città, appunto. Quelle storie di cui il critico Carlo Bo diceva: «Il giorno che si farà un'antologia comandata della narrativa del secolo, comandata da Milano, si vedrà che Marotta occupa un posto di primo piano nell'invenzione poetica della città».

Ma l'autore di L'oro di Napoli, A Milano non fa freddo, San Gennaro non dice mai di no, ha un posto di rilievo anche e soprattutto nell'invenzione poetica della sua Napoli, oltreché di altre città italiane. Ce lo rammenta bene il volume di racconti Coraggio, guardiamo (Premio Bagutta 1954), riproposto ora dall'editore partenopeo Alessandro Polidoro, che ha già ridato visibilità ad altre opere marottiane, da Gli alunni del tempo a San Gennaro non dice mai di no.
Narratore, giornalista, critico e sceneggiatore di cinema, autore di teatro, Marotta fu scrittore popolare e amato dal pubblico, anche se dopo la sua morte, come ricorda Cecilia Laringe «è rimasto nell'oblio per diversi anni, se non per alcune ristampe e per la sua opera più conosciuta, L'oro di Napoli, da cui Vittorio De Sica trasse l'omonimo film».

L'arte in cui Marotta eccelle è il racconto. Storie brevi, mai bozzetti, dove sapeva con una scrittura lieve ma partecipe dei casi umani, sul filo della memoria, spesso con un umorismo pieno di pietas, restituire anima e cuore, spirito e carne, a donne, uomini, strade, odori, colori.

Era un maestro, in particolare, di ritratti femminili. «La sua libertà», osservava Bo, «nasce ogni volta con il suo sguardo».

Marotta ha immortalato davvero Napoli nelle pagine memorabili dell'Oro, con racconti come I giocatori, Il documento, C'è mestiere e mestiere, Lo sberleffo. La città di Scoglio a Mergellina, insomma: «Voi dite a Napoli: Quanto sei bella!, e Napoli è perduta». Cantò poi Milano splendidamente. In Coraggio, guardiamo bastano poche righe, nel racconto Ti voglio bene, per sentire fisicamente la Milano di una volta: «Moriva un tenero settembre, dalle piattaforme dei tram di Monza scivolava sul corso Buenos Aires qualche greve foglia precocemente appassita, d'ottone; l'appuntamento era per le tredici a Porta Venezia (Maria abitava in via Pisacane), presso la garitta dei giornali. Dico garitta perché, essendovi giunto con eccessivo anticipo, ed ostinandomi a puntellarla per mettermi in evidenza, ebbi lungamente su una tempia, attraverso la feritoia, un occhio buio e lampeggiante che era del giornalaio, ma pareva di una carabina».

Non diversamente, in La ragazza di Torino, disegna il volto dell'ex capitale d'Italia: «Palazzi, monumenti, chioschi, veicoli, gente, galleggiavano come sugheri nella foschia. Era nebbia densa e avviluppante, un cascemir di nebbia tessuto a regola d'arte nelle fabbriche di Biella; ma sotto gli ingemmati portici tutta quella opaca umidità si riduceva a un'orlatura di bavero o a un effimero nastrino all'occhiello, ritagli, piume di nebbia che le fulgide luci dei negozi soffiavano via dai cappotti dei passanti».

Marotta narrava, non giudicava. Riusciva a dare significato alle cose di tutti i giorni, che sono sotto i nostri occhi eppure non vediamo. L'editore Polidoro con grande merito consente di leggere o di rileggere uno degli scrittori migliori del nostro Novecento, sicuramente uno dei più bravi nel raccontare con commozione e sorriso l'umana avventura.

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