Lamarque vince il Premio Saba: «C'è peso e leggerezza nell'amore da vecchia»

L'ultima raccolta fonde toni lievi e ironia

Vivian Lamarque
Vivian Lamarque
di Francesco Mannoni
Lunedì 20 Marzo 2023, 07:52
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«Se sul treno ti siedi/ al contrario, con la testa/ girata di là, vedi meno/ la vita che viene, vedi meglio/ la vita che va». Scorre tutta su questo binario di riflessiva e saggia asserzione dei misteri dell'esistenza la poetica di Vivian Lamarque, che con la sua tredicesima raccolta, L'amore da vecchia (Mondadori, pagine 160, euro 18), ha vinto la terza edizione del premio Saba Poesia per aver trattato il tema «con ironia e leggerezza».

La cerimonia di premiazione è prevista venerdì 24 marzo a Trieste. Autrice anche di numerose raccolte di racconti, la Lamarque è una delle voci più limpide nell'attuale panorama lirico italiano, pervasa da una leggerezza ariosa, cantabile, nonostante il tormento che scava la vita quotidianamente.
«È stata la critica, fin dall'esordio con l'opera prima Teresino nel 1981, per voce di Vittorio Sereni e di Giovanni Raboni, a riconoscermi la difficile facilità, una leggerezza che pesa, un volo che scava», ricorda lei «Certo, attingo soprattutto al passato remoto dell'infanzia.

Come? Credo che questo lo sappia la poesia, non il poeta».

Vivian Provera Pellegrinelli Comba, anche se firma i suoi libri come Vivian Lamarque, ci tiene a precisare che «questo nome non è uno pseudonimo come qualcuno ha pensato: Lamarque, è il mio cognome da coniugata, e anche se sposata ora non sono più, è il cognome del padre di mia figlia e di mia figlia. Mio marito ha sempre creduto nelle mie poesie. Amava molto la poesia, girava per casa declamando Eliot e Salvatore Di Giacomo».

Suo marito è napoletano?
«No, ma da ragazzino visse a lungo a Napoli, e mi ha contagiato con il suo amore per Eduardo. Un dicembre di tanti anni fa aveva organizzato nel nostro scantinato una recita familiare di "Natale in casa Cupiello". Poi non si realizzò, ma avevamo studiato le parti, io dovevo interpretare Ninuccia, la figlia di Luca. Tramite mio marito amo Napoli e i napoletani specie da quando mi raccontò questo episodio: sua sorella all'età di 11 anni stava andando a scuola, aveva compito in classe di latino e aveva dimenticato a casa il vocabolario; il guidatore dell'autobus la sentì, gli chiese se abitava vicino, sì abitava vicino: "Allora corri a prenderlo che t'aspetto!" E così fu!»

Veniamo al suo ultimo libro, partendo dal titolo.
«L'amore da vecchia è un libro diviso in varie sezioni, tutte d'amore e, come spiego in apertura onde evitare equivoci è amore: "per la bella famiglia d'erbe e d'animali, per la famiglia di cari nipoti e cara figlia, per i treni e il tempo che si assomigliano tanto, per il cinema e le sue sale scomparse, per la poesia, per qualche fuori tempo innamoramento e, per me stessa naturalmente". E per i lettori perché come da Orazio: "mutato nomine, de te fabula narratur"».

Nei suoi versi ricorda Penna, Caproni, Gozzano: che cosa pensa di avere in comune con loro e soprattutto con Umberto Saba?
«Siamo tutti "consanguinei". Con Saba la poetica comune della "poesia onesta"; poi le origini: entrambi due madri (per lui seconda madre fu la balia, per me quella adottiva) e zero padri (il primo non mi riconobbe, il secondo purtroppo lo persi a 4 anni); poi l'esperienza psicoanalitica: freudiana la sua e junghiana la mia. Questi gli amori legittimi. Ma anche altri nomi potrei aggiungere. Sono infedele, ogni tanto ne spunta uno nuovo, anche d'oltralpe. E comunque, la più amata di tutti resta Emily Dickinson. In una poesia del mio libro ricordo quando nel suo giardino di Amherst peccai cogliendo alcuni fior: volevo portarmeli a casa, magari conservarli in un suo libro. Poi però, sulla sua tomba mi pentii e glieli restituii. Ma, per non restare a mani vuote, colsi da lì un'erbetta, almeno quella...»

Che cosa cibava di più il suo amore per il cinema quando bambina «non usciva di casa per andare al cinema, ma usciva dal cinema per andare a casa»?
«Di quegli anni ho ricordi nitidissimi: il velluto rosso dei tendoni della sala; il rumore che facevano i sedili di legno, la paura che avevo degli indiani. E poi si poteva entrare a film cominciato e restare dentro anche ore, vederlo due volte, anticipando le battute che ormai conoscevo a memoria. E ricordo che si entrava col chiaro e si usciva col buio, e si poteva "confondere sogno e realtà/ cancellare con una bianca gomma l'inutile linea di confine"».

Lei è nata nel 1946 ma da tempo dichiara di avere ottant'anni. Perché aumentarsi l'età quando tutte le donne tendono a sottrarre?
«Forse perché così mi fanno più feste, e perché le cifre tonde suonano bene. Ora a volte mi dimentico che non è vero. Quando arriveranno davvero gli 80 ne avrò 160?».

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