Maradona, il poema di Diego nel libro di Cristian Izzo

Maradona, il poema di Diego nel libro di Cristian Izzo
di Carlo Avvisati
Martedì 15 Giugno 2021, 17:26 - Ultimo agg. 24 Marzo, 05:27
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Mettiamola così: Diego Armando Maradona, ma a Napoli basta dire soltanto “Diego” per capire di chi si sta parlando, è stato l’unico individuo che sulla faccia di questa terra ragionava con i piedi e faceva impazzire il mondo intero. Di più. Faceva spuntare il sole, o calare la notte nera, a seconda dei casi, anche per chi di pallone, tattiche, 4-3-3 e via dicendo ne capiva meno di un’acca. Punto. E qua ci potremmo pure fermare se non ci fosse da dire e segnalare che, tra i tanti scritti e i fiumi d’inchiostro che negli ultimi trent’anni sono stati versati per il Pibe de oro, il 17 giugno, nelle librerie, arriverà fresco di stampa «Il Poema di Diego o la canzone del barrilete cosmico» di Cristian Izzo, attore e autore teatrale, con natali in quel di Castellammare di Stabia, patria di un tal Fabio Quagliarella, pure lui mai dimenticato dai tifosi napoletani.

Il volume, che sarò presentato oggi, alle 19 e 30 al Secret Garden di via Nocera 22, a Castellammare di Stabia da Alfonso Ammendola, professore di Sociologia all'Università di Salerno e da Francesco della Calce oltre all’autore, si sviluppa in quasi ottanta pagine, fitte di versi, sciolti, senza rima, mai scontati, come le estrose note “musicali” che Diego sapeva mettere assieme ogni volta che toccava un pallone, facendo diventare quel gesto prezioso quanto un diamante.

Tutte da leggere d’un fiato, quelle pagine. E poi da rileggere, per gustarsele come quando hai finito di mangiare una sfogliatella e ne chiedi subito un’altra uguale a quella che hai appena terminato.

Perché? Perché se cominci a scorrere i versi non solo entri in un’altra dimensione e il tuo “io” pallonaro si veste di mutande e maglietta e calza scarpe con tacchetti e scende sul rettangolo verde ma anche «Perché questo mondo è un pallone rotondo / che non rimbalza e su se stesso ruota: /e vi è soltanto un uomo che col piede / sinistro avrebbe modo di stopparlo / quell’uomo ebbe a suo nome, Diego … » come scrive Izzo.

Diviso simbolicamente in dieci capitoli, il poema, che è arricchito dalla bella presentazione di Armando Rotondi, tocca in ciascuno di essi un evento tra i più importanti della storia umana e calcistica di Maradona. Versi sciolti, senza rima, ma dal ritmo veloce e coinvolgente, risuonano di reminiscenze epiche dei grandi poemi del passato in cui vivono personaggi del calibro di Achille e Ettore, per esempio, due che nel loro scontro sotto le mura di Troia, quasi tremila anni fa, disegnano l’embrione di quella sorta di “guerra” combattuta ai giorni nostri tra la Celeste argentina e i Leoni d’Inghilterra, quarti di finale del mondiale 1986. Mano de Dios – Diego, prima, e gol del secolo, dello stesso Maradona, dopo; due a zero e coppa Rimet che prende la via dell’Argentina, imboccandola definitivamente nella finale con la Germania.

«C’è un uomo più uomo di altri. Calcisticamente parlando» sottolinea Angelo Petrella nella sua prefazione al «Poema di Diego» che «forse uomo non è. Per lui esiste una categoria a parte, preclusa a chiunque altro, presente o futuro. … Diego Armando Maradona, l’aquilone (eccolo qua il barillete) cosmico, il dio del pallone, il dieci per eccellenza che ha disegnato la traiettoria impossibile di un sogno capace di unire milioni di coscienze, e nel caso di noi napoletani, di risollevare il destino di un intero popolo. Risvegliandolo dal torpore secolare. Riportandolo nella storia. Rimettendolo al posto che gli spetta». Che poi l’epopea del Pibe sia finita malamente è ancora un’altra storia. Una storia che in tanti stanno cercando di raccontare. Spesso, senza riuscirci e cadendo nel luogo comune dell’artista maledetto. Invece è la legge del contrappasso che, unita alla fragilità caratteriale dell’uomo, e forse dello scugnizzo argentino, mai davvero cresciuto per la vita, solo o circondato da chi ne sfruttava talento e soldi, prende il sopravvento va di pari passo con il cristallo purissimo di cui era fatta la sua classe.

«Dianzi a questo quale Uomo e Genio. / Diego il più grande, ma il solo: / così grande / e così inutile». Chiude, il suo Poema, Izzo. Inutile? Davvero? O quell’”inutile” dell’autore è diretto a chi non potrà mai capire cosa è stato Maradona per un popolo che in lui ha cercato un riscatto problematico cominciato secoli addietro e continuato con “La pelle” di Curzio Malaparte, con “Il mare non bagna Napoli” di Anna Maria Ortese, fino a “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, come sottolinea nella postfazione Jvan Sica, sigillando il tutto con: «Ho capito solo adesso. “Inutile” è la carezza che Izzo dà a chi proprio non ci arriva o non vuole. Resta così, morbidamente estraneo alla meraviglia». Davvero! Un sogno: il Sogno Diego Armando Maradona è il sogno del popolo. Del popolo che lo ha amato più di ogni altro. Il popolo napoletano.

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