Con Marco Perillo sulle tracce della Vecchia Carnevale

Con Marco Perillo sulle tracce della Vecchia Carnevale
di Ugo Cundari
Lunedì 26 Settembre 2022, 21:30
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Tra i più giovani e strenui difensori dal patrimonio storico-mitico di Napoli, il giornalista de «Il Mattino» Marco Perillo stavolta si impegna a riportare in vita una antica maschera napoletana, una strega ingobbita e vestita con abiti lerci e rattoppati, la Vecchia Carnevale (Langella, pagine 16, euro 25, con fotografie di Sergio Siano e Marco Maraviglia), la cui sagoma per molti anni è stata esposta a piazzetta Nilo fuori la bottega di antiquariato di Agostino o' pazzo.

Simboleggiava l'anno vecchio che cedeva il posto a quello nuovo in arrivo. Quando ancora era protagonista di alcune ballate di paese, capitava che il Pulcinella di turno la costringesse a movenze oscene, poi la prendeva a schiaffi e la insultava tra le risate di scherno degli spettatori.

Rievocare quella maschera serve all'autore per tornare con la mente ai ricordi di quand'era bambino, e insieme alla paura di trovarsi davanti quella vecchia pronta a rapirlo riaffiorano i ricordi di personaggi più o meno pittoreschi che abitavano vicino a lui.

Come la madre di Pino Daniele, «donna corpulenta che di frequente, uscendo con una vestaglia addosso e i capelli raccolti col tuppo, sistemava uno stereo su una sedia e faceva ascoltare a tutto il circondario le canzoni del figlio».

Il ricordo più triste è della notte in cui arrestarono il padre per presunte assunzioni fraudolente nell'azienda in cui lavorava. La sua innocenza fu dimostrata in pochi giorni e il padre uscì quasi subito di galera, ma la gente iniziò a farsi da parte quando lo incrociavano e allora cambiarono casa.

Tra i ricordi piacevoli, la festa per la vittoria dello scudetto del Napoli di Maradona nel 1987. In quell'occasione all'autore parve di scorgere tra la folla invasata la temuta Carnevale, e la festa così diventò una nuova occasione di spavento.

Oggi Perillo confessa di non vedere più le streghe, o almeno più di rado, ma è una confessione che tradisce una sorta di malinconia, non solo perché certifica la perdita di ingenuità del bambino ma perché le maschere di Napoli, belle o brutte che fossero, sono scomparse dai negozi che le esponevano, e anche la città è diventata meno ingenua, più disincantata.
 

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