Maura Chiulli torna in libreria con «Ho amato anche la terra»

Maura Chiulli torna in libreria con «Ho amato anche la terra»
di Alessandra Farro
Venerdì 27 Maggio 2022, 12:35
3 Minuti di Lettura

Livia ha poco più di quarant'anni, un lavoro in banca che sopporta con fatica, un marito con cui non condivide più nulla e un corpo che non la rispecchia: Livia pesa 130 kg, ha un tic alla mano destra che le serve a tenere a bada l'ansia e quando il suo matrimonio finisce, tutto nella sua vita si evolve. Maura Chiulli, insegnante di scrittura autobiografica nella Scuola Macondo con Peppe Millanta, torna in libreria con "Ho amato anche la terra", edito da Hacca edizioni, affrontando con intelligenza, saggezza e profondità la difficile ma inevitabile relazione che abbiamo con il nostro corpo.

Com'è nata Livia?
«Prima del suo personaggio, è nato il suo corpo: è venuta al mondo questa anotomia parlante e, a un certo punto, è diventato per me necessario ascoltarla. Allo stesso modo è nata la testa di Livia. Ma inizialmente è stato il suo corpo a parlare una lingua che il mio corpo capiva. Ci siamo, poi, ritrovate a parlare la stessa lingua attraverso i nostri corpi, anche se molto diversi. Lei, quindi, nasce così: ascoltando le voci del mio corpo che dialogavano con il suo».

Il libro è tratto da una storia vera in qualche misura?
«Non è un libro autobiografico, ovviamente, ma scrivo sempre di emozioni che conosco o che riconosco negli altri. In Livia ho risconosciuto molte emozioni, dopo averla incontrata. Tengo molto a questo romanzo, perché mi ha offerto un nuovo dialogo con me stessa. Nonostante la vita di Livia sia distante dalla mia, lei mi assomiglia nella ricerca: non si arrende mai, come me, sebbene i sentimenti tristi facciano capolino spesso nella mia vita come nella sua, ma è l'unico grande aspetto che condividiamo, il resto è tutto romanzo».

Come ha fatto ad identificarsi in una donna dai tanti problemi con il suo corpo?
«In alcuni momenti è stato molto difficile, ma i nostri corpi parlano tantissime lingue e anche io, come Livia, nella mia vita ho smesso di ascoltare aclune parole che il mio corpo cercava di trasmettermi e ho provato a controllarlo, diventandone schiava ed è quello che accade anche a Livia. Forse è questo il meccanismo che abbiamo condiviso: l'illusione di controllare la nostra anatomia.

Dove poi diventava tanto difficile capire le parole di Livia, interveniva la mia esperienza personale. Così siamo arrivate al finale della storia, accompagnandoci vicendevolmente, e, qualche volta, ripescando vecchi ricordi».

Cos'è scattato in Livia?
«Livia, come me, ha iniziato a sentire la vita che sopraggiunge e ha concesso a se stessa di accoglierla. Quando ha deciso di smettere di essere la padrona del suo corpo? Quando ha lasciato che il corpo dicesse quello che voleva nella sua lingua, che non è quella della testa. Poi ha ricominciato a vivere, quando ha smesso di controllare e tradurre la lingua del corpo. A volte dobbiamo vivere e basta senza dover per forza tenere tutto sotto controllo».

Il romanzo fa riflettere: siamo abituati ad affogare i nostri problemi sublimandoli in altro.
«Per me è come se il nostro corpo fosse una casa infestata dai fantasmi e noi dovessimo imparare a guardarli senza troppa paura, a parlarci e a ricordarci la loro vita. Loro arrivano da qualche parte ben precisa, ma noi non dobbiamo essere ossessionati dall'idea di dover capire tutto della nostra vita, perché quella arriva prima di qualsiasi comprensione. La vita giunge, c'è in ogni nostro pensiero, esiste a prescinedere dalla pace e guerra che facciamo noi con lei».

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