Maurizio De Giovanni, tutto il teatro: gli antieroi imperfetti tra gioia e miseria

Maurizio De Giovanni, tutto il teatro: gli antieroi imperfetti tra gioia e miseria
di Ida Palisi
Venerdì 9 Settembre 2022, 11:00
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«Scena: uno studio di una casa borghese. Le pareti sono piene di scaffali in legno scuro, centinaia di libri intervallati da premi e targhe». Lo studio di Maurizio de Giovanni è così, e i libri sono una presenza muta della sua vita, come la musica e il sentimento costante della nostalgia. Perciò è facile identificarlo con Valerio, lo scrittore che fa i conti con la propria esistenza e le inevitabili inadeguatezze, protagonista della sua pièce teatrale di maggior successo, «Il silenzio grande», che Massimiliano Gallo ha interpretato sulle scene di tutta Italia e nel film omonimo di Alessandro Gassmann. La storia ambientata negli anni '60 e in una villa vomerese in decadenza, come la famiglia che la abita ha avuto un enorme successo di pubblico e di critica e non a caso apre la raccolta Tutto il teatro (Einaudi, pagine 476, euro 20) dove de Giovanni riunisce nove testi scritti per il palcoscenico, con l'introduzione del regista Roberto Andò. Che ritrova, nella produzione teatrale degiovannesca, il minimo comun denominatore della «confidenza» e la matrice romanzesca. 

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Non c'è, effettivamente, una grossa linea di demarcazione tra il teatro e i libri, ma semplicemente perché de Giovanni «vive» dentro la sua scrittura, non è un autore distaccato o uno che fa le cose a tavolino.

Perciò i suoi eroi hanno sempre qualcosa di antieroico, sono esseri imperfetti che si confrontano con le proprie manchevolezze, anche in teatro. E se «Il silenzio grande» in due atti racconta il lato oscuro e la solitudine del mestiere (vissuto anche come vocazione ineluttabile) dello scrittore, e fa propria poi la lezione eduardiana, come giustamente nota Andò, sia per «classici eroi perdenti» che, più in generale, per il voler mettere in scena la commedia umana, nell'intreccio di amori e inganni di «Ingresso indipendente», portato in scena da Serena Autieri e Tosca d'Aquino l'autore capovolge la favola del principe azzurro e la rende piccolo-borghese senza far mancare però il lieto fine. La Napoli del dopoguerra entra prepotente con il suo misto di povertà, bisogno e prevaricazione sociale in «Il Don Chisciotte della Pignasecca» che in scena ha visto protagonisti Peppe Barra e Nando Paone, interpreti di una napoletanità a tratti anche farsesca e irriverente. Una città di anime in pena si ritrova in tre testi, «La canzone di Filomena», «Storia di Papo, di Bimbomio, dell'Uomo col cappello e del ponte» e «La casa eil mio regno» già pubblicati in una raccolta Gli altri fantasmi (Spartaco) - dieci anni fa: nell'ultimo, la melanconia di de Giovanni cede il passo all'amarezza pungente di eduardiana memoria, che lo scrittore reinventa a modo suo. «Ma se mi toccano», portato in scena da Edoardo Siravo nel 2018, evoca la Napoli dell'800 dove tutto era teatro, con audizioni, impresari improbabili, arie cantate dalle voci popolari. È il teatro del popolo e di un'umanità sospesa tra la gioia e la miseria, quella che racconta de Giovanni, che spinge sempre l'acceleratore verso l'ottimismo, pur nell'affresco di una Napoli dolente e a tratti «nera» come nei suoi romanzi seriali. Il suo animo femminile e la capacità di immedesimarsi nel cuore e nella mente delle donne, insieme con l'utilizzo della musica come filo conduttore e con l'espediente del teatro nel teatro si ritrovano in «Una canzone ancora», mentre tutto il mondo degiovannesco è presente nel testo finale, «Mettici la mano». Protagonisti sono il brigadiere Maione e Bambinella (a teatro come in tv interpretati da Antonio Milo e Adriano Falivene), il femminiello che nella serie di Ricciardi fa la parte di un informatore sui generis, summa di quella Napoli inciucessa (qui spostata sotto i bombardamenti del '43) e omertosa al tempo stesso che de Giovanni rende scenario perfetto di una commedia sempre sul filo del rasoio con il melodramma. A leggerli tutti insieme i nove testi offrono un ritratto corale di gente qualunque, straordinaria nella sua ordinarietà, dove tutti sono sotto processo morale, a fare i conti con la nostalgia del futuro. 

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