Le Dinastie di Michele Masneri: ecco vecchi e nuovi ricchi

Con l'occhio clinico e cinico del naturalista, Masneri ha raccolto e rivisto un suo lungo racconto giornalistico sul «Foglio» dedicato alle grandi famiglie italiane

Fedez e Chiara Ferragni
Fedez e Chiara Ferragni
di Santa Di Salvo
Martedì 10 Gennaio 2023, 10:00
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Basta il nome, il soprannome, il cognome, il nickname. Miuccia, donna Letizia, i Ferragnez, Lapo, i Calendas, Malagò, i Trussardi, i Panini, gli Agnelli (quelli veracemente italiani, i re delle pentole). Li riconosciamo tutti, chi più chi meno. Come definirli? Meno male che nessuno usa più l'acronimo «vip». Brutto lo è sempre stato, insopportabile da quando l'hanno usato tutti a sproposito. Eliminate le vipperie, ai giornalisti cosa resta per descrivere quelli che contano e quelli che galleggiano? Oltre all'obsoleto «happy few» e al tardo-novecentesco «jet set», è tutto un dilagare di «celebrities», spesso a sproposito. Ma in un paese senza ascensore sociale non è meglio parlare banalmente di ricchi, vecchi e nuovi? Cioè di quella specie facoltosa per famiglia (ormai pochi), per operosità (scarsi pure loro) o per talento multimediale (quasi sempre la provincia, sterminata e mutevole).

Con l'occhio clinico e cinico del naturalista, Michele Masneri ha raccolto e rivisto un suo lungo racconto giornalistico sul «Foglio» dedicato alle grandi famiglie italiane, in cui il vecchio establishment si trasforma in un contemporaneo melting pot fatto di industria e di immaginario, di genialità e di fallimenti, tipico frutto di una società locale e globale. È la geografia tutta italiana delle Dinastie (Rizzoli, 190 pagine, 17 euro), che partono dal consueto habitat milanese per immergersi poi tra la borghesia meno folkloristica della Capitale e nella provincia postmoderna trasformata dalla globalizzazione. 

Chi rappresenta, oggi, la vera nobiltà italiana? Risposta difficile.

L'aristocrazia è un museo delle cere. I grandi gruppi industriali sono stati quasi tutti comprati dall'estero. Le start up di successo sono pochissime. Meglio accantonare per il momento l'analisi e mettere in fila le storie e le testimonianze. Partendo naturalmente da Milano, epicentro identitario dopo che Torino ha abdicato per colpa delle due principali dinastie locali, gli Agnelli Elkann e i De Benedetti, sempre più ritirate e slegate dai destini della nazione. 

Apre la collezione di ritratti «la Signora», colei che ha creato «un impero del Bello sopra un codice estetico di notevole bruttezza». Miuccia, regina di Pradaland, la fondazione che è diventata anche un quartiere. L'ascesa di Prada comincia quando Maria Bianchi, poi Miuccia adottata dalla zia Prada, la stessa ragazza che lavava le pentole alla Festa dell'Unità in abitino Saint Laurent, incontra il roccioso Patrizio Bertelli. Sodalizio perfetto, trasversale e litigioso, che riscrive il cliché della dynasty altoborghese e regna imperiosa su una zona della città con mostre di arte contemporanea ed eventi controcorrente. L'altra «sciura» che riappare a cadenze regolari, sempre con un nuovo taglio di capelli, è Letizia Moratti, famiglia potentissima di stirpe e di sostanze. E ancora la milanesità in purezza della famiglia Boeri, la sinistra chic mondanissima e creativa. 

Masneri si sposta prima a Noto, per celebrare le nozze della Nuova Repubblica, quella di Chiara Ferragni e Fedez, poi a Torino per ricordare il tempo che fu, quello dell'«Avvocato», e la contemporanea caduta dell'impero con la guerra di successione fra gli eredi Elkann e Andrea Agnelli. Ed eccoci finalmente a Roma, quella della borghesia impiegatizia e dei ricchi vestiti da ricchi. La città dove l'iperattivo Calenda, già assistente di Luca Cordero di Montezemolo, beneficia di un significativo clan familiare (nonno ambasciatore, l'altro era Comencini, principesse e parenti importanti nel cinema). E Giovanni Malagò, il piacione della Roma bene, il miglior protagonista della saga cinematografica del suo fraterno amico Enrico Vanzina, donne bellissime al fianco e lo sport come passione. Su Roma svetta anche il nuovo evangelista del fashion Alessandro Michele, scarmigliato direttore creativo di Gucci, appena uscito dalla direzione della griffe del lusso per ridefinire un nuovo sistema della moda rivoluzionario (si spera). 

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Ancora più esplosivi e post-moderni i ritratti della provincia globale, da lady Beretta, ex «ragazza con la pistola» oggi socialite artistica, ai Trussardi, signori di Bergamo alta, di cui si può raccontare una sorta di pastorale che incrocia tragedia e show business, incluso il rapporto tra il belloccio Tomaso (una emme) e la ridanciana elvetica Michelle Hunziker.

In questa saga narrata tra incredulità e attrazione fatale, Masneri ci regala la sua visione del Paese che ci è assieme familiare e repulsiva, una sorta di contraddizione fatale che omologa le famiglie speciali a quelle normali. Perché forse noi italiani siamo davvero tutti un po' manager e un po' cialtroni. E questo non ci consola. 

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