Michele Zatta è Mike Raft: «Forse un altro, un tributo a mia madre»

Michele Zatta è Mike Raft: «Forse un altro, un tributo a mia madre»
di Alessandra Farro
Giovedì 4 Agosto 2022, 19:20
4 Minuti di Lettura

La Capria parlava di “Grande Occasione Mancata” in “Ferito a morte” come di una possibilità che una volta lasciata sfuggire non farà più ritorno, Michele Zatta in “Forse un altro” edito da Arkadia parla invece della perdita della seconda chance, quella di Mike Raft. A raccontare la sua storia, in parte d’amore, in parte di vita, in parte di giustizia, in parte di verità e in parte di morte, è una voce narrante profondamente sarcastica, che non può non strappare un sorriso al lettore.

Michele Zatta co-sceneggiatore di “Un posto al sole”, dal 2008 dirigente Fiction Rai e responsabile delle produzioni internazionali di Rai Fiction, è co-ideatore del programma “Agrodolce” ed è produttore, tra le altre, delle serie “Mare fuori”, “Sopravvissuti”, “Fino all’ultimo battito” e “Blackout”. 

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Chi è Mike Raft?
«Una domanda da un milione di euro! In parte sono io e allo stesso tante altre persone.

Ho preso ispirazione dai morality plays del ‘400, in cui il personaggio principale è ognuno. Mike Raft è l’ognuno 2.0 odierno. Si tratta di una storia con molti aspetti personali, ma che conserva l’intento di voler parlare a tutti. Per la scelta del nome, è facile da intuire: io mi chiamo Michele Zatta, lui Mike Raft. Volevo scrivere questo libro tramite pseudonimo e lasciare che il protagonista portasse il mio nome, con qualche modifica, ma alla casa editrice non è piaciuta l’idea. Così il libro è firmato da me e la storia, però, continua a essere quella di Mike Raft, non sono riuscito a cambiarlo».

Mentre la voce narrante?
«Rappresenta la mia parte autoironica, che sta lì a ricordarmi di non prendersi troppo sul serio. In pratica sono io che dico a me stesso: “Che stai facendo? Stai scrivendo un libro sul senso della vita? Come ti permetti?!”».

Alla fine del libro, c’è un capitolo titolato “Genesi e ringraziamenti”, che racconta la nascita di questo romanzo.
«La storia ha una piccola storia in sé: nasce a causa di una delle numerose delusioni sentimentali. In una calda sera di luglio, dopo che sono stato lasciato al telefono, non sapendo cosa fare, mi sono messo a scrivere giorno e notte per dieci giorni come se fosse un flusso di coscienza senza sosta. Da quel testo sono derivate diverse ipotesi. Questa storia nasce come libro, poi diventa una sceneggiatura cinematografica, poi una pièce teatrale, ma non approda mai a niente, finché nel 2014 non era stata scelta al teatro Eliseo come commedia della stagione per il periodo natalizio ma il 20 novembre di quell’anno, alle sei del mattino, accadono due cose contestualmente: in una clinica d’ospedale nasce il mio terzo genito e le forze dell’ordine mettono i sigilli all’Eliseo. Da un lato la nascita della vita, dall’altro la fine di un percorso. Da lì ho smesso di cercare una strada per la mia storia. Ho deciso di rimaneggiarla dopo la morte di mia madre, è stata la spinta per rielaborarlo e dargli questa versione definitiva, che ha trovato Arkadia come editore».

Lei dedica il libro a sua madre, infatti.
«La morte di mia madre mi ha messo di fronte all’annosa questione che riguarda la visione della morte come fine della vita. So che il libro ha una vena malinconica innegabile, ma spera si possa essere anche letto come un piccolo inno alla vita, un tributo a mia madre: lei ha avuto una vita molto difficile e nonostante questo non ha mai perso la gioia di vivere».

Tra sceneggiatura e scrittura di romanzi c’è una forma di narrazione che preferisce?
«La scrittura di una fiction è tra le cose più complesse, perché bisogna inventarsi cinque puntate alla settimana per anni, se non decenni. Ho imparato molto sulla struttura di una storia in questo modo e quello che al libro ho applicato quello che oggi so alla struttura del romanzo: ogni semina piantata nel libro, viene raccolta. Allo stesso tempo, mi sono permesso di andare contro alcune regole. Un personaggio chiave compare soltanto a metà del libro, ma è pur vero che anche in “Casablanca” Ingrid Bergman arriva a metà film e noi lo ricordiamo tutti come una storia d’amore».

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