Miriam D'Ambrosio è Folisca: «Racconto storie di emarginazione»

Miriam D'Ambrosio è Folisca: «Racconto storie di emarginazione»
di Alessandra Farro
Venerdì 26 Agosto 2022, 14:56
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Rosetta Andrezzi, in arte Rosetta di Woltery, era una prostituta nella Milano preguerra, aveva velleità canore, che non è riuscita mai a realizzare. È stata uccisa, ma sulla sua morte nessuno dirà la verità, tranne uno, insospettabile. “Folisca” di Miriam D’Ambrosio (nata a Sora, ha trascorso i primi 4 anni di vita a Napoli e adesso risiede a Treviglio), edito da Arkadia, riporta alla memoria un fatto realmente accaduto e insabbiato dalla storia, riporta in vita la giovane Rosetta e racconta la verità sulla sua fine.

Chi è Rosetta Andrezzi?
«Si è parlato poco di lei.

Le storie degli ultimi non sono mai state considerate importanti. Qualche anno fa ho fatto un tour di Milano con una guida turistica, tra le storie raccontate, la sua. Rosetta faceva parte della malavita milanese, viveva di espedienti, apparteneva alla classe povera. Mi aveva colpito la sua storia, così ho fatto qualche ricerca. Era riuscita a diventare una cantante dopo anni in cui aveva esercitato la professione. Ha debuttato al San Martino di Milano e al Salone Margherita di Roma, dove ha incontrato Ettore Petrolini e ha ottenuto un contratto al Gambrinus di Napoli, ma due guardie in borghese hanno pensato bene di interrompere il sogno, uccidendola. Nessuno poi si è assunto la responsabilità del delitto, la questura di Milano l'ha insabbiato, mascherandolo come suicidio. Abbiamo solo una foto di questa ragazza, una tipica bellezza della belle époque: frangetta, musetto triste e rotondo».

Perché raccontare la sua storia?
«Sono molto attratta dagli “ultimi”, le storie di emarginazione. Lei non ha avuto giustizia su questa terra come Serena Mollicone e Stefano Cucchi: gli abusi di potere di certi personaggi sugli esseri indifesi e fragili che si rifanno delle loro debolezza e miseria umana. Mi interessava prenderla come esempio: non si tratta di un femminicidio classico, non è un delitto passionale – come dicono in modo distorto –, è un abuso di potere verso una proletaria che non doveva sognare, ma doveva volare basso e rimanere nella melma delle sue origini senza riscattarsi».

Ha dovuto compiere molte ricerche?
«La dinamica del delitto era stata già ricostruita da Leonardo Sciasca nel 1983. Il delitto era stato insabbiato dalla questura di Milano, ma dubbi avanzati dalla stampa portarono al rinvio a giudizio per lesioni di due agenti che vennero poi assolti: Mario Musti per non aver preso parte al fatto e Antonio Santovito per non provata reità. Entrambi non hanno mai pagato per questo delitto e l’unico giornalista a condurre una vera inchiesta sul delitto, chiamando testimoni reali, smentendo quelli pagati dalla questura per insabbiare l’omicidio colposo, è stato il direttore dell’Avanti!, Benito Mussoli, che nel 1913 era ancora socialista, voleva difendere il popolo e gli ultimi. Mussolini scrisse sul giornale la verità, ma non riuscì a ottenere nulla di più».

Progetti futuri?
«Spero di riuscire a raggiungere Napoli per presentare il libro, voglio tornare a guardare quel mare col quale ho mosso i primi passi».

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