Morto Raffaele La Capria, Erri De Luca: «Benedisse il mio esordio ma non sono ferito a morte»

Morto Raffaele La Capria, Erri De Luca: «Benedisse il mio esordio ma non sono ferito a morte»
di Generoso Picone
Martedì 28 Giugno 2022, 07:00 - Ultimo agg. 18:30
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Le pagine di Un giorno d'impazienza venivano lette a casa dei suoi genitori e probabilmente in ragione dell'ansia di vita che animava il protagonista della storia, con le sue esperienze iniziatiche all'amore, al sesso, alla realtà e alla vita, quel romanzo resta il preferito da Erri De Luca nell'ampio catalogo di Raffaele La Capria. «Lui era un amico di mio padre Aldo, che allora frequentava anche Alfonso Gatto e Vasco Pratolini, e di mia madre Emilia. Si vedevano spesso tra Napoli e poi Roma. C'era una consuetudine di rapporto che me lo ha reso una figura familiare», spiega non senza emozione. Erri De Luca apprende la notizia della morte di Raffaele La Capria mentre è impegnato nel suo quarto viaggio della missione umanitaria che ha intrapreso in Ucraina, e i ricordi vanno irrimediabilmente al periodo della sua giovinezza. «L'ho conosciuto allora, una gran bella persona».

 

De Luca, La Capria scrisse la quarta di copertina al suo libro d'esordio, «Non ora, non qui», pubblicato da Feltrinelli nel 1989. Richiamava la luce bianca e densa che filtrava dalle pagine, citava «Il posto delle fragole» di Ingmar Bergman e ripensava a «quell'immagine struggente che dice con assoluta e trasparente immediatezza il dolore per la vita che tutto cancella e ci rende estranei a noi stessi e al nostro passato». Uno splendido viatico.
«Ricordo.

In quel periodo lo frequentavo a Roma, erano gli anni del mio impegno politico in Lotta Continua e sul giornale avevo pure scritto una recensione a Fiori giapponesi. Mi era piaciuto molto, l'idea degli origani di carta che si aprono sull'acqua e diventano simili a fiori consegna la metafora della scrittura letteraria. Io ho sempre apprezzato la sua, le trame precise dei suoi romanzi e racconti, l'eleganza del suo stile, la leggerezza dei toni. Così diversa dalla mia».

In ogni modo Raffaele La Capria si prestò a essere un po' il tutore dei suoi primi lavori.
«Quando arrivò il momento della pubblicazione di Non ora, non qui, la Feltrinelli pensò a lui per la nota di accompagnamento. Fu molto generoso, scrisse che il mio romanzo, breve e intenso, portava già impressi in ogni frase i segni di un vero scrittore, per il tono di voce e l'integrità dello sguardo. Gliene sono grato. L'anno dopo, nel 1990, per la collana La clessidra di Alfredo Guida editore diretta da Pellegrino Sarno, il mio racconto Lettere a Francesca venne abbinato al suo Variazioni sopra una nota sola. Insomma, un doppio patrocinio. Poi gli incontri con lui si diradarono, non ci siamo più incrociati né a Roma né a Napoli».

«L'armonia perduta», del 1984, rappresentò il punto di svolta nello sguardo su Napoli e sulla sua storia, nell'interpretazione del senso da dare alla sua identità e al suo ruolo. Anche per lei ebbe questa funzione?
«No, L'armonia perduta non è tra i titoli di Raffaele La Capria che hanno avuto un'influenza su di me».

Per quale motivo? Per un diverso rapporto che avete intessuto con Napoli? In ogni caso, entrambi distanti, entrambi feriti a morte da questa città.
«Ho apprezzato il romanzo Ferito a morte, ma confesso di non aver vissuto la sua stessa condizione. In occasione di un omaggio resogli a Parigi definii La Capria un uomo mite, ma pure pronto a indolenza per i torti che vengono commessi, che lo facevano reagire con rammarico fraterno. Mi appariva come un intellettuale europeo che aveva uno scatto di partenza tutto meridionale. Raffele La Capria è stato un grandissimo narratore del risentimento verso Napoli, che lui in realtà non ha provato e perciò è stato in grado di osservarlo con lucida e disincantata attenzione. Una volta la città, nella sua passionalità, non perdonava chi l'aveva abbandonata e lo marchiava con il timbro dell'espulso. Tutto ciò accadeva una volta, però».

Oggi, invece?
«Io non mi sento ferito, per niente. Mi considero, al contrario, un privilegiato per aver avuto la mia origine a Napoli e rivendico in ogni circostanza il mio senso di appartenenza totale».

La Capria sosteneva che per lui Napoli costituiva innanzitutto un'immagine mentale.
«Capita un po' per tutti i luoghi e per tutti i tempi. Si costruisce un'immagine mentale che ci consente di recuperare il ricordo dei paesaggi, dei momenti, delle suggestioni, delle persone. Così li abbiamo presenti, riescono a riproporsi tali e quali, vivi nella memoria. In fondo come capita con l'odore del ragù che cucinava mia nonna». 

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