Napoli campione, Maurizio de Giovanni: «È una vittoria spartiacque, tutto cambia»

«Dedicato a tutti i tifosi del Napoli che sono rimasti sempre innamorati della squadra»

La lunga notte del Plebiscito
La lunga notte del Plebiscito
di Ugo Cundari
Venerdì 5 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 6 Maggio, 09:03
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Prima che scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, Maurizio De Giovanni è un tifoso innamorato pazzo, o come dice lui «malato», del Napoli, al quale ha dedicato molti racconti, alcuni raccolti in antologie di successo come Il resto della settimana.

Come festeggia lo scudetto, De Giovanni?
«Purtroppo non posso puntare sull'estetica e mettermi in topless. Mi limito ad affacciarmi al balcone della mia abitazione a viale Raffaello con un panorama su tutta la città e godermi i fuochi e il sottofondo di allegria».

Come se fosse la notte dell'ultimo dell'anno.
«Di più, è la marcatura di un'epoca, il segno di un tempo, lo spartiacque».

In buona compagnia.
«In mano un bel calice di vino, in mente mio padre, al quale brindo: mi ha lasciato nel 1981 e non si è potuto godere né gli scudetti di Maradona né questo, e lui era un tifoso più accanito di me.

Con me i miei figli, mia moglie e mio fratello per una sorta di riunione generazionale perché il bello, diciamo il bello, di aver aspettato più di trent'anni per un altro scudetto è la possibilità di unire ricordi di epoche diverse e lontane».

A chi è giusto dedicare il tricolore?
«A tutti i tifosi del Napoli che sono rimasti sempre innamorati della squadra».

Avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato il terzo scudetto?
«Sfatiamo un mito. Non c'è niente di cui meravigliarsi. Il Napoli vince questo campionato dopo un decennio in cui ha conquistato quattro volte il secondo posto e tre volte la terza posizione, e dopo che per 14 anni è stata l'unica squadra italiana a partecipare sempre a un torneo europeo. Il Napoli è una squadra forte da molti anni, c'è da meravigliarsi che non l'abbia vinto prima, ma d'altra parte è la storia calcistica italiana a essere cambiata da poco».

Perché?
«Il campionato è stato vinto da quattro squadre diverse in quattro anni nel momento in cui è venuta meno una certa egemonia che oggi è oggetto di indagini».

In questa giornata di festa ha un messaggio per i napoletani, tipo il troisiano «ricordatevi di chiudere l'acqua e il gas»?
«Non sono all'altezza di un messaggio ecumenico e geniale come quello del grande Massimo, però se devo rimanere sul tono leggero aggiungo: chiudete la porta con doppia mandata perché qualche ladro, magari uno che non tifa Napoli e quindi non ha niente da festeggiare, può approfittare dell'occasione, anche se, a pensarci bene, i veri ladri di cui dovremmo avere paura non abitano a Napoli».

Come festeggerebbero i personaggi dei suoi romanzi?
«Paradossalmente, tranne Mina e Sara, i protagonisti dei miei libri non sono napoletani. Ricciardi e Lojacono si godrebbero la festa da turisti, con l'occhio di chi sta assistendo a uno spettacolo magnifico, e credo sia un bel modo per avvertire la felicità di un popolo che, modestamente, sa festeggiare. Ci guarderebbero e penserebbero che, in fondo, i napoletani sono pazzi, in senso positivo, pazzi divertenti. Mina se la godrebbe nei suoi Quartieri Spagnoli, ventre nobile della città».

La partita più bella del campionato?
«Il 5 a 1 alla Juventus in casa a gennaio: più che una vittoria, un'investitura. Dopo non ci siamo potuti nascondere più, tant'è che anche Spalletti, poi, non ha fatto più il pompiere. E aggiungo quella vinta con lo Spezia in casa a settembre per 1-0

La partita più brutta?
«La sconfitta 4 a zero in casa con il Milan. Partita che ha minato le sicurezze e ci ha portato a uscire dalla Champions».

Ha temuto il calo fisiologico e magari il rischio di perdere lo scudetto?
«No, nessuna paura. Il gap era troppo ampio, le avremo dovute perdere tutte. Devo dire che il peggior Napoli con il miglior Milan ha perso in campionato e pareggiato in Champions al ritorno con due arbitraggi discutibili, altrimenti avremmo fatto di più».

Non si lamenti, poi dicono che i napoletani sono sempre pronti a piangere, a gridare al complotto.
«Se il Napoli subisce ingiustizie oggettive i napoletani hanno tutto il diritto di lamentarsi. Noi dobbiamo sempre vigilare».

Un giocatore su tutti?
«Di Lorenzo, non solo perché capitano. È il lavoratore serio e rigoroso che ha parole buone per tutti. Lo scudetto deve tantissimo anche a Spalletti, capace di valorizzare tutta la rosa e gestire le 5 sostituzioni da grande stratega».

Un titolo a questo scudetto?
«Non un intervallo ma una storia. I 33 anni che ci sono voluti sono stati una storia costellata di cadute, fallimenti, delusioni, senso di rivalsa, ma sono stati i 33 anni che ci hanno portato fin qui». 

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