Napoli in cerca d'identità secondo Treccagnoli

Napoli in cerca d'identità secondo Treccagnoli
di Generoso Picone
Domenica 5 Giugno 2022, 09:13
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«Il vezzo fastidioso di parlare del carattere napoletano come di un mistero ha dato origine ad una scadentissima retorica, ma ciò non significa che una sorta di mistero a Napoli non ci sia». Pietro Treccagnoli sembra prendere le mosse dall'affermazione lucida e dolente di Elena Croce in La patria napoletana del 1974 per imbastire la sua Suite napoletana (Colonnese, pagine 127, euro 12): cioè «storie, controstorie e altre storie» pubblicate negli anni su quotidiani, periodici e in rete, qui raccolte con l'intento dichiarato di comporre un discorso non conformista su Napoli, «una città che ama ridere e piangere sulla propria sorte, indecisa tra Pulcinella e Calimero» e nel frattempo ridotta a essere un posto «a metà strada tra l'Europa occidentale e il villaggio Masai».

Il proposito si rivela importante e impegnativo perché il percorso che si ha davanti è seminato di trappole e segnato da tornanti. Treccagnoli ne è ben consapevole e allora per la sua impresa, in realtà soltanto il più recente capitolo di un'elaborazione condotta almeno dal 2010 con Elogio di San Gennaro, prende le misure adottando i mezzi che l'esperienza di osservatore acuto e mai retorico delle faccende partenopee gli ha consegnato: la curiosità energica del camminatore per vicoli, piazze, chiese, palazzi e anfratti assieme alla capacità di scrutare con il disincanto del cultore di una materia che trasversalmente passa dalla storia all'antropologia, dalla filosofia alla psicologia, dall'arte alla sociologia, dalla politica allo spettacolo.

Pietro Treccagnoli è un cronista impenitente con il talento della scrittura brillante e corrosiva che alle spalle ha scaffali di libri frequentati e vissuti. Ciò che serve, insomma, per assecondare il tentativo di Elena Croce di indagare sul mistero che Napoli conserva.

Fin dall'inizio mette in guardia. Badate dice - che Napoli è una città che storicamente ha conquistato i suoi conquistatori, dunque basta con l'eterno piagnisteo vittimista per altro declinato nella doppia vulgata, risorgimentale e neoborbonica. Con la franchezza liquidatoria che gli è propria, Treccagnoli smonta il luogo comune bipolare: «Secondo me è tutta una fesseria». Perché Napoli è fatta così, ferisce a morte o addormenta, direbbe Raffaele la Capria. È la città dei martiri professionali cantata da Francesco De Gregori, gli intellettuali rivoluzionari annientati dalla repressione del 1799 «tra le figurine più resistenti della storia italiana, tirate fuori come l'alibi principe, l'asso pigliatutto del mancato sviluppo della città e del Sud». La città che si rispecchia nell'immagine di Masaniello, promosso dal superficiale e fragile orgoglio identitario napoletano «mettendo in sordina la modesta capacità rivoluzionaria del pescivendolo di piazza Mercato che nel luglio 1647 tenne in pugno la città per una settimana appena». La città che ama mettersi in scena, completamente votata a una estenuante autorappresentazione di sé nel canovaccio della commedia dell'arte. La città che si esibisce: non a caso i due personaggi che Treccagnoli fa risaltare da protagonisti assoluti sono San Gennaro, il cittadino San Gennaro fissato da Alexandre Dumas, e Maradona, il superuomo di Nietzsche a cui tutto è permesso, per il quale Napoli ha indossato i panni di Penelope e si è fatta Itaca e «ogni napoletano che ha visto l'uomo farsi dio e il dio diventare uomo ne canterà le gesta come un'epica infinita».

Idolatria da villaggio Masai, «dove l'indigeno di turno timbra il suo cartellino nel tucul, diventato il suo posto di lavoro, ed espone il richiesto kairos tribale per poi, quando finisce il turno, ritirarsi a casa sua dove lo aspettano lo schermo al plasma e l'aria condizionata»? È la tribù che resiste alla modernità nella città di Gennariello che ammaliò Pier Paolo Pasolini o la Maurilia di Italo Calvino, la città invisibile dove i visitatori ammirano le cartoline di un tempo preferendole a quelle del presente, salvo accorgersi che la Maurilia del passato non è mai esistita? Treccagnoli segnala che se autenticità c'è, questa si trova nella «filosofia del rotto, del meccanismo inceppato», nella liturgia purgatoriale della precarietà: in quegli elementi che compongono il colore locale che piace ai tanti turisti e che troppi napoletani capitalizzano commercializzandolo per presunta autenticità. Kairos, quindi irreale identità. Qui si cela il mistero di Napoli cui parlava Elena Croce, la storia dove a un certo punto si apre la fatidica porta e c'è la rilevazione dell'arcano. Che la stanza è vuota.

Presentazione mercoledì 22 giugno alle 18,30 alla Feltrinelli di piazza dei Martiri. Con l'autore saranno presenti Vincenzo De Gregorio ed Enzo d'Errico, coordinati da Giuseppe Pesce.

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