Starnone a Napoli e quel sorriso sul giallo di Elena Ferrante

Starnone a Napoli e quel sorriso sul giallo di Elena Ferrante
di Vittorio Del Tufo
Giovedì 20 Dicembre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 13:01
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Il sorriso di Domenico Starnone non svela l’enigma di Elena Ferrante, ma lo rilancia. Lasciate stare gli autori. Amate, se val la pena, ciò che scrivono. Così auspicava Elena Ferrante, la misteriosa autrice dell'Amica geniale, nel libro La frantumaglia, del 2003.

Considerato però il successo planetario della tetralogia, e il gioco di specchi che continuamente evoca, è difficile lasciare in pace Elena Ferrante e il mistero che si cela dietro la scrittrice fantasma. Questo gioco di specchi, di ombre e di rimandi conduce irrimediabilmente a Domenico Starnone, lo scrittore napoletano che proprio ieri, in occasione della consegna del Premio Napoli, ha dialogato nella sede della fondazione a Palazzo Reale con il premio Pulitzer statunitense di origini bengalesi Jhumpa Lahiri.
 
Nei giorni scorsi il Mattino ha scoperto una nuova traccia che porta all'autore di Via Gemito. È una traccia familiare e interna al Rione Luzzatti, il quartiere popolare della periferia orientale di Napoli dove è ambientata la storia di Lila e Lenuccia, le due bambine protagoniste del romanzo della Ferrante e della serie tv in onda in questi giorni su Rai Uno con la regia di Saverio Costanzo.

Starnone, che oggi ha 75 anni, negli anni 50 frequentava il rione dove abitavano (e abitano tuttora) i suoi cugini, componenti di una famiglia piuttosto numerosa: la famiglia Mattiacci. «Domenico da ragazzino veniva nel rione. Veniva spessissimo a trovare i parenti, che abitavano qui... Aveva sempre con sé un quaderno sul quale disegnava e prendeva appunti di ogni tipo. Eravamo ragazzini, ma non avevamo dubbi sul fatto che da grande sarebbe diventato uno scrittore».

Neanche ieri l'autore di Lacci e Via Gemito - a cui da anni piace civettare, elegantemente, con il mistero letterario che tanto appassiona - ha svelato l'enigma. Però ha ammesso di avere molti parenti al Rione Luzzatti. Parenti, ha sottolineato l'autore, «a cui tengo moltissimo». Accompagnando il suo rituale «Non sono io Elena Ferrante» con un sorriso che non scioglie i dubbi, ma li rilancia. Perché è proprio su Domenico Starnone che, anche alla luce delle ultime rivelazioni, continuano a convergere gli indizi. Lo scrittore è nato nel 1943, come Lenuccia; era figlio di ferroviere (come Nino Sarratore, tra i principali protagonisti dell'Amore geniale) e prima di trasferirsi a via Gemito, dove ha imperniato il suo romanzo più famoso, viveva nel rione ferrovieri di via Zara, a meno di un chilometro dal Rione Luzzatti e del tutto simile quanto a struttura urbanistica (esiste ancora). Inoltre ha frequentato, da ragazzo, il rione Luzzatti e il liceo Garibaldi, lo stesso istituto frequentato da Lenuccia. Come Lenuccia prendeva la metro a Gianturco, scendeva a piazza Garibaldi e poi di lì a piedi, percorrendo il corso Garibaldi, arrivava al liceo.

Un lungo periodo della propria infanzia Starnone lo ha trascorso proprio nelle strade polverose dove è ambientata la storia di Lila e Lenuccia. Frequentava la zona dei giardinetti (piazza Coppola) e la mitica Biblioteca Popolare Circolante del professor Collina, che nel libro, e nella fiction, diventa il maestro Ferraro.

Nel rione, dove il Mattino ha raccolto nei giorni scorsi numerose testimonianze, sono in molti a ricordarsi di Starnone. «Mimmo era alto, snello, portava gli occhiali, frequentava la famiglia del pasticciere». Ovvero i Mattiacci, che gestivano un laboratorio di pasticceria nel rione. Accanto al quale, al cancello 140, abitava una delle tre famiglie Ferrante che vivevano nel quartiere. Più di un residente, tra gli abitanti storici del quartiere, ne ricorda ancora oggi il nome di battesimo: Elena. Le altre Ferrante abitavano invece a poca distanza, nel «cancello 49».

Negli stessi vialoni che «Mimmo» percorreva da ragazzino, abitava la famiglia dello scarparo. Erano i Ferrajuolo - ora al posto della loro bottega c'è una merceria - e una delle figlie zoppicava leggermente: come, nel libro della Ferrante e nella serie tv, la mamma di Lenuccia. E Lenuccia era il nome di una delle cugine di Domenico Starnone. Ma tutti i nomi della (vera) famiglia Mattiacci sono finiti nella quadrilogia di Elena Ferrante: Elena, Rino, Nunzia. A ciascuno di essi, però, l'autore (o l'autrice) ha attribuito un percorso esistenziale diverso da quello reale, divertendosi a mescolare le carte in una labirintica costruzione narrativa. Alla cui base vi sarebbero proprio i ricordi d'infanzia: materia autobiografica diluita nella finzione e messa al servizio di un'opera scritta probabilmente a più mani. Una saga geniale al cui successo, almeno stando ai sostenitori del partito «Starnone uguale Ferrante», avrebbero contribuito anche la scrittura e la sensibilità di Anita Raja, moglie dell'autore nonché traduttrice per e/o, l'editore che pubblica i libri della scrittrice senza volto.
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