Bob Dylan, il Nobel della discordia: per Baricco «Non c'entra con la letteratura», per Frasca «La sua è poesia viva»

Bob Dylan, il Nobel della discordia: per Baricco «Non c'entra con la letteratura», per Frasca «La sua è poesia viva»
di Donatella Trotta
Venerdì 14 Ottobre 2016, 11:06
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Il Nobel della discordia. Non deve essere stata semplice la scelta dell’Accademia Reale di Svezia di premiare Bob Dylan, la cui candidatura peraltro «soffiava nel vento» già dal 1996, su sollecitazione del papà della Beat Generation Allen Ginsberg, suo grande sostenitore con Gordon Ball, docente di letteratura all’università della Virginia che apprezzava «l’infuenza che le sue canzoni e le sue liriche hanno avuto in tutto il mondo, elevando la sua musica a forma poetica contemporanea». E nel 2004, Bob Dylan spaccò la giuria dei diciotto membri a vita della prestigiosa istituzione di Stoccolma, che dopo non pochi contrasti interni optarono infine per la scrittrice austriaca Elfriede Jelinek.
Insomma, il nome del cantautore di Duluth - che dopo 23 anni di assenza riporta in Usa il premio, assegnato nel 1993 a Toni Morrison - non ha mancato di sorprendere. E di dividere gli animi. Ma quando è stato “ripescato”, il nome di Bob Dylan è stato accolto con un boato in sala a Stoccolma dove è risuonata la motivazione ufficiale «Per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della musica americana». Mentre Sara Danius, la segretaria dell’Accademia svedese, così ha sentito il dovere di motivare la scelta ai cronisti locali: «Perché Dylan? Perché è un grande poeta, nella grande tradizione della poesia in lingua inglese, che va da Milton a Blake in poi. Due-trecento anni fa gli autori scrivevano poesie messe in musica, oggi i versi in musica di Dylan possono e devono essere letti come poesia». E scusate se è poco.

Immediati i tweet entusiasti del presidente Usa Barack Obama e del ministro italiano della Cultura Dario Franceschini, tra i primi ad elogiare la scelta svedese. Tuttavia, se oggi c’è chi esulta (la stragrande maggioranza), c’è anche chi invece storce il naso: e non solo tra gli illustri esclusi, come lo scrittore giapponese Murakami Haruki, che non lesina critiche amare. Il primo a fare pollice verso, in Italia, è lo scrittore Alessandro Baricco, che ha appena pubblicato il suo ultimo libro, «Il nuovo Barnum», con l’editore Feltrinelli: lo stesso editore italiano di Bob Dylan. Ma all’autore torinese, il Nobel per la letteratura assegnato al «menestrello del folk-rock americano» proprio non va giù: «Per quanto mi sforzi - dichiara - non riesco a capire che cosa c’entri con la letteratura. Meglio dargli un Grammy Award». Apriti cielo. Sui social network si scatenano le polemiche. Un po’ come avvenne, del resto, quando a vincere fu Dario Fo: per una singolare sincronicità - quasi un passaggio di testimone - scomparso proprio lo stesso giorno del Nobel a Bob Dylan. «Ma la situazione è molto diversa - precisa ancora Baricco -. Che un drammaturgo vinca un premio alla letteratura ci sta, anche se in modo un po’ sghembo». A rintuzzare il parere perentorio di Baricco è il giornalista Gianni Riotta, che difende il posto di Dylan nell’olimpo letterario e ribatte velenoso: «Caro Baricco, tu, piuttosto, sei proprio sicuro di entrarci qualcosa con la letteratura, anche solo un pochino?».

Strali a parte, il mondo della musica d’autore italiana, e non solo, esulta. Lo testimonia Francesco De Gregori, traduttore delle canzoni di Dylan, nell'album «Amore e furto»: «Non è mai troppo tardi - commenta con gioia - il Nobel a Dylan è anche il riconoscimento definitivo che le canzoni fanno parte a pieno titolo della letteratura di oggi e possono raccontare, al pari della scrittura, del cinema e del teatro, il mondo e le storie degli uomini. Nessuno come lui ha saputo mettere in musica e parole l’epica dell’esistenza, le sue contraddizioni, la sua bellezza». Non sono solo canzonette, per parafrasare Edoardo Bennato: non a caso, un’editrice italiana di progetto come Interlinea ha dedicato ben due volumi di saggi critici in omaggio al Bob Dylan “letterato”, che di sé afferma: «Io sono le mie parole». E si comprende allora come lo scrittore Giovanni Mastrangelo, autore del «Piccolo Buddha», abbia posto al centro del suo nuovo romanzo generazionale, «Il sistema di Gordon» - appena uscito per La Nave di Teseo - proprio l’attesa densa di venerazione di Bob Dylan nella California anni ‘80. Già. Perciò anche un fine “paroliere” come Mogol, alias Giulio Rapetti, commenta entusiasta: «Dylan merita ampiamente il riconoscimento, che rappresenta una grande apertura nei confronti della cultura popolare. Si è finalmente capito che la poesia di oggi è espressa anche dalle canzoni».

Sulla sua lunghezza d’onda Roberto Vecchioni, che dicendosi «felice» elogia «il premio assegnato al non perfetto che si sublima e arriva al suo massimo, che rompe i canoni e costituisce un precedente», dimostrando che «la letteratura in musica non è inferiore a quella scritta», in piena sintonia con Paolo Conte. Ma non sono solo gli esponenti della musica come arte universale dalla natura multidisciplinare a essere convinti del conferimento del Nobel 2016: l’«Osservatore Romano», con il suo direttore Giovanni Maria Vian, parla ad esempio di «premio alla carriera» riconoscendo «l’intensità di alcune liriche bellissime» di Dylan, capace di influenzare generazioni di cantautori con il suo «invito a non conformarsi. E a pensare con la propria testa».

E il mondo della letteratura italiana? Come ha accolto questa notizia? Il linguista Tullio De Mauro, ex ministro della Pubblica Istruzione, presidente della Fondazione Bellonci e del Premio Strega Ragazzi, non ha dubbi: «È giusto - dice - allargare i confini del Nobel dalla letteratura accademica, patinata, nobile a quella non meno nobile ma di grande circolazione e popolarità in tutti i sensi della parola». Ne è convinto anche lo scrittore Edoardo Albinati, premio Strega 2016 con il fluviale romanzo «La scuola cattolica» (Rizzoli): «Non vedo alcuna contraddizione - afferma Albinati -. La grandezza è grandezza. E la letteratura è un campo molto più ampio di quanto non si creda». Ne sa qualcosa Gabriele Frasca, presidente della Fondazione Premio Napoli, scrittore, saggista e poeta: «È giusto che ci siano reazioni diverse - dice -. Ma non provo nessuno stupore: Bob Dylan è un nome di prestigio come altri, si pensi solo a quel Salinger della canzone che è Leonard Cohen. Credo che alla base di questa scelta, al di là del dato teatrale e della commedia popolare nell’uno, e della musica folk nell’altro, ci sia un elemento che accomuna Fo a Dylan: entrambi hanno fatto riscoprire il valore dell’oralità, cardine della grande trasformazione del ‘900 che non è, come si pensa, il secolo dell’immagine, bensì il secolo breve della voce. In questo senso Bob Dylan rappresenta pure una battaglia per la poesia, con lui straordinariamente viva, nella scia di Dylan Thomas che le ridiede voce nei college e università dove rischia di essere relegata, come denuncia Eric Hobsbawm nel suo libro “La fine della cultura”. In questo senso, il Nobel a lui è un duplice tributo».

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