Donne, c'è chi dice no: «Olivia Denaro» è il nuovo romanzo di Viola Ardone

Donne, c'è chi dice no: «Olivia Denaro» è il nuovo romanzo di Viola Ardone
di Titti Marrone
Martedì 28 Settembre 2021, 08:24
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Non è infrequente che sia il lessico letterario, più di quello politico, a trovare le parole giuste per dire dei problemi del presente. Per rivolgersi, ad esempio, alle giovani incamminate con passo ignaro sul soffice ma precario sentiero dei loro diritti spianato dalle lotte dei decenni passati, il discorso pubblico appare più che inadeguato. Anche la memoria di quelle lotte sembra evaporata, con il rischio palpabile di mandarne in frantumi le conquiste. E lanciare un simile allarme sembra essere il compito importante che si accolla Viola Ardone nell'ultimo suo appassionato romanzo, Oliva Denaro (titolo che altro non è che l'anagramma dell'autrice), attesissimo dopo il gran successo di Il treno dei bambini.

Qui, come lì, la storia comincia ad altezza di bambina, o meglio di ragazzina meridionale, e con linguaggio infantile, ma a ben vedere curatissimo. Lì protagonista e voce narrante era il piccolo Amerigo Speranza, napoletano affidato nel dopoguerra dalla madre all'iniziativa solidale del Comitato per la salvezza dei bambini con i suoi treni per l'Emilia-Romagna, la Toscana, l'Umbria. Qui è una bambina siciliana, Oliva Denaro, che incontriamo nei primi anni '60 evocati anche attraverso le canzoni del tempo e che seguiremo fino agli '80.

Vive in un paesino dove regnano gli arcaismi di un mondo contadino-patriarcale dominato da ruoli e regole precise. Una su tutte: «Le figlie femmine a una certa età bisogna ritirarle. Qua il maschio è brigante, e la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia».

Regole non lontanissime da quelle inflitte alle donne nella attuale situazione afghana: «Stai lontana dai maschi, non cantare a squarciagola, non uscire da sola, tieni gli occhi bassi, una ragazza perbene non ha bisogno di nessun diploma, sposati, fai figli e bada alla casa ma non pensare di sceglierti il marito: quello spetta al padre e ai fratelli».

Regole che Viola Ardone riporta in successione reiterata, come una cantilena ossessiva che indica il paradosso: non siamo a Kabul ma nell'Italia del Sud degli anni '60. La scelta narrativa è quella di evocare la storia di Franca Viola, ma solo in modo indiretto. Così Ardone poggia su Oliva l'immagine sfumata della ragazza di Alcamo che rifiutò di sposare il suo rapitore e stupratore, negandosi alla «paciata» che avrebbe condotto, con il matrimonio, all'estinzione del reato di stupro. Come da articolo 544 del codice penale allora in vigore, cancellato giusto quarant'anni fa, il 5 agosto del 1981.
Prima però che a Oliva capiti lo stesso incubo di Franca Viola, assistiamo alla sua vita di bambina tra raccolte di lumache, corse a «scattafiato» sotto lo sguardo amorevolissimo e complice del padre e l'occhio preoccupato di una madre ossessionata dal timore di veder appiccicata anche su di lei l'etichetta di «sbregugnata».

Nonostante l'occhiuta vigilanza familiare, la disgrazia capitò già alla figlia maggiore, Fortuna, salvata dal disonore grazie all'intervento materno nell'unico modo concepibile, il matrimonio. E fa niente se con un uomo violento e disamorato che la segrega in casa.

Facciamo conoscenza con Oliva ancora piccola, tenera e irresistibile, «corpo da maschio e cuore da femmina», che studia con profitto e gusto favoriti da una maestra allontanata dalla scuola per sospetta «sbrigugnataggine». Gioca con diletto insieme al coetaneo Saro, sfoglia di nascosto giornaletti sui divi del cinema che le procurano «la languidezza di stomaco» e se deve darsi coraggio recita tra sé la prima declinazione latina. Intanto attraversa i riti d'ingresso nell'adolescenza: i buchi alle orecchie, l'apparizione del mestruo (il «marchese»), l'abbandono del coro delle «piccinne» nella processione del patrono per passare a indossare il vestito bianco «della prima uscita». E mentre il suo corpo magrissimo si trasforma in sinuoso e comincia a emanare il fluido di un fascino di cui lei è inconsapevole, per sua disgrazia viene notata Pino Paternò, l'uomo che la vorrà per sé. «Mai ci ho scambiato parola», spiegherà alla madre. «E che vuoi scambiare? Basta uno sguardo, basta un sorriso, femmina che sorride ha detto sì», è la sentenza inappellabile.

Irresistibile e molto teatrale è la scena delle «maleforbici», le donne del paese intente a spettegolare durante il rosario tra un mistero gaudioso e l'altro. Commovente la figura del padre, deciso ad affiancare la figlia incoraggiandola nella scelta di dire «no» allo stupratore. Punto di raccordo con il romanzo precedente è la figura della comunista Maddalena Cerasuolo (anche qui Criscuolo), idealtipo di donna comunista coraggiosa e emancipata venuta in soccorso di Oliva. E certo qui si potrebbe cogliere un eccesso d'intonazione didascalica, da storia edificante dove i comunisti sono molto buoni e bravi e lottano contro i pregiudizi. Ma in tempi di maledettismo e cattivismo imperanti non è forse bene che qualcuno rovesci il tavolo recuperando, sia pure in forma di favola letteraria, il ricordo di un tempo in cui i diritti violati dei più deboli venivano difesi da una sinistra che ha dimenticato come si fa?

`presentazione napoletana alle 18 alla Fondazione Foqus, via Portacarrese a Montecalvario 69. Con l'autrice interviene Valeria Parrella. Letture di Patrizia De Martino

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